Tino Oldani, ItaliaOggi 28/11/2014, 28 novembre 2014
SEDICI ANNI PER FARE LA NUVOLA DI FUKSAS, TUTTORA INCOMPIUTA: UN PASSO DA LUMACA CHE UMILIA L’ITALIA DI FRONTE AL MONDO
In Italia le grandi opere si sa quando iniziano, ma mai quando finiscono. Tra varianti in corso d’opera, intoppi burocratici e penuria di fondi, capita spesso che invece dei 3-5 anni previsti per concludere i lavori, non ne bastino 10 o 20. Esemplare sotto questo profilo è la vicenda, o meglio lo scandalo, del nuovo centro congressi in costruzione nel quartiere Eur di Roma, progettato dall’archistar Massimiliano Fuksas e noto con il nome di «Nuvola», in quanto l’edificio finito si dovrebbe presentare come una nuvola sospesa in aria: il bando di concorso che diede il via all’opera risale al 1998, sedici anni fa, quando il sindaco di Roma era Francesco Rutelli, ma la conclusione dei lavori è ancora lontana, e nessuno è in grado di indicare una data certa per l’inaugurazione. Un pessimo biglietto da visita per la capitale, ma anche per l’Italia intera.
Il paragone con i tempi di realizzazione abituali nel resto del mondo per opere simili, sono a dir poco umilianti. Un esempio per tutti: nella Silicon Valley (California), entro il 2016 le grandi società che dominano su internet (Google, Facebook, Apple, Twitter) trasferiranno le loro sedi in nuovi e grandiosi edifici progettati negli ultimi anni (dal 2001 in poi) dalle maggiori archistar mondiali. Quasi una gara a chi riuscirà a costruire la sede più bella, confortevole e originale, come racconta Federico Rampini nel suo ultimo libro («Rete padrona»; Feltrinelli): una competizione architettonica che in soli 5 anni trasformerà la Silicon Valley in una moderna Valle dei templi.
Sul passo da lumaca abituale in Italia, basta leggere la relazione fresca di stampa che la Corte dei conti ha dedicato alla gestione dell’ente Eur Spa, società pubblica controllata per il 90% dal Tesoro e per il 10% dal Comune di Roma, presieduta da Pierluigi Borghini. In 58 pagine, il relatore Tommaso Miele fa letteralmente a pezzi la conduzione della società, accusata di avere messo molta «carne al fuoco», avviando negli ultimi anni numerosi progetti, senza però riuscire a realizzarne neppure uno. Progetti ambiziosi, che oltre alla costruzione della Nuvola di Fuksas e di un albergo annesso, prevedevano la ristrutturazione del Palazzo della Civiltà del lavoro, un acquario sotto il Laghetto e il Luneur, la rivalutazione urbanistica dell’ex Velodromo, nonché dei terreni circostanti del Castellaccio e della Laurentina.
Fin dall’inizio, sostiene la Corte dei conti, il progetto della Nuvola era minato dalla «assenza di completa e certa copertura finanziaria», una lacuna che perdura tuttora: per completare il progetto, mancano 100 milioni di euro. Un buco che fa rabbrividire se si considerano le tappe fin qui percorse. Dopo il bando-concorso del 1998 vinto da Fuksas, in un primo tempo l’appalto dei lavori se lo aggiudica nel 2002 la società Centro Congressi Italia Spa, che immediatamente chiede più soldi, alzando il costo dei lavori da 200 a 250 milioni. L’ente Eur non ci sta, il contratto viene risolto e si arriva al 2007, quando la Condotte Spa vince la nuova gara per 221,5 milioni. Ma dopo la posa della prima pietra, nel febbraio 2008, inizia puntuale il valzer delle varianti, che in poco tempo diventano dieci. Risultato: il costo sale da 221,5 a 256 milioni. Una beffa, che alimenta il contenzioso tra committente e costruttore, e allunga i tempi.
La Corte dei conti ha avuto da ridire anche sulla parcella di Fuksas, pari a 19,9 milioni: «Al di là di ogni più estensivo riferimento alle tabelle professionali, appare eccessiva e spropositata, sì da chiedersi se la somma debba ritenersi giustificata». L’accusa non è nuova, e Fuksas, ormai esautorato, già in passato ha replicato che a lui, tra tasse e collaboratori, sono rimasti solo 5 milioni. Per questo non vuole più saperne di lavorare con l’ente Eur, prevede che senza soldi la Nuvola resterà incompiuta, e che, come altre storie italiane, finirà in tribunale.
Nella Silicon Valley, la corsa delle web-companies a costruire nuove e grandiose sedi ha avuto inizio nel giugno 2011, quando Steve Jobs, fondatore della Apple, deluso dalla pessima estetica architettonica che lo circondava, quattro mesi prima di morire si presentò di persona al Consiglio comunale di Cupertino con il progetto della nuova sede della Apple. Progettato da Norman Foster, il nuovo edificio avrà la forma di un gigantesco disco volante appoggiato sul verde: sarà l’edificio più grande d’America, più grande del Pentagono, e potrà ospitare diecimila dipendenti.
Immediata, nella Silicon Valley scattò una gara di emulazione: Facebook, Google e Twitter incaricarono altre archistar di disegnare i loro nuovi quartier generali, che dovranno essere pronti entro il 2016. «La velocità non fa difetto da queste parti» scrive Rampini. Purtroppo, anche quando non ci sono di mezzo le tangenti (caso davvero raro), in Italia trionfa il contrario: il passo da lumaca. Un pessimo andazzo, dove «cambiare verso» è più urgente che mai.
Tino Oldani, ItaliaOggi 28/11/2014