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 2014  novembre 28 Venerdì calendario

RENZI SOGNA LA SCISSIONE DEL PD

[Intervista a Francesco Verderami] –
Se gli dite che s’è inventato un genere giornalistico, il retroscena, Francesco Verderami, firma di punta del Corriere della sera, si schermisce subito. E vi legge al telefono una prima pagina del suo giornale, datata 17 marzo 1917.
Di spalla al titolo principale, sulla Rivoluzione russa, c’era appunto un articolo che ne prometteva «il retroscena».
Eppure Verderami, calabrese di Gioia Tauro (Rc), classe 1962, una lunga carriera nelle cronache parlamentari, incluse tv e agenzie di stampa, coi suoi retroscena fece così arrabbiare Massimo D’Alema, segretario Ds e poi premier, che il Lider Maximo se ne uscì con la famosa battuta del Maalox, il farmaco contro il mal di stomaco, cui ricorreva dopo la lettura dei giornali.
Domanda. Lei era la bestia nera di D’Alema, giusto?
Risposta. No, no, guardi sono contrario alla spettacolarizzazione e alla personalizzazione del giornalista. Non amo neppure l’enfasi sul cronista watch-dog e ritengo si debba portare rispetto ai rappresentanti dei cittadini. Credo che uno debba raccontare, con onestà intellettuale e basta. Di Indro Montanelli ce n’è stato uno: gli altri, bravi, meno bravi, scadenti, e comunque alla fine saremo tutti nessuno.
D. Senta però lei, essendo diventato cronista parlamentare molto giovane, ha visto diverse generazioni di politici: la coda della prima repubblica, la seconda e questa fase che qualcuno vorrebbe definire già di terza.
R. Entrai alla Camera nel 1986 e i primi tempi giravo in Transatlantico con il naso all’insù.
D. Più facile o più difficile?
R. Era tutto diverso. Capitava di avere gli elogi di Nilde Jotti e di essere mandato a quel paese da Mino Martinazzoli.
D. Accidenti, l’avvocato, buonanima, era un uomo mite. Che cosa aveva fatto per fargli perdere le staffe?
R. Scrivevo per il Secolo XIX e avevo ascoltato una parlamentare socialista, Alma Agata Cappiello, anche lei compianta, mentre al telefono parlava di rivedere la legge 194, spostando più in avanti i termini per l’interruzione volontaria di gravidanza. E quando cercai di avere un commento da Martinazzoli...
D. Essendo Dc e Psi alleati di governo, lei fece il suo mestiere di cogliere la contraddizione.
R. Martinazzoli non la prese benissimo. In mezzo al Transatlantico mi apostrofò con un plateale «vaffa» preceduto da un «lei». Anni dopo avrei avuto un bellissimo rapporto con lui, che è stato politico e uomo di grandi qualità.
D. Certo che il Transatlantico allora, senza i cinguettii di Twitter, era la fonte per definizione.
R. E aveva le sue liturgie.
D. Vale a dire?
R. Quando i maggiorenti stavano a consesso, i cronisti non facevano capannello come adesso, ma rimanevano a rispettosa distanza. Da neofita, una mattina, vedendo Ciriaco De Mita e Antonio Gava su un divanetto, incurante della regola non scritta mi avvicinai, mentre i colleghi stavano sul divanetto di fronte in attesa.
D. Violò le procedure?
R. Fu come violare un tabernacolo. Ma prima che Beppe Sangiorgi, allora capoufficio stampa della Dc, mi placcasse, riuscii a strappare a De Mita l’impegno per un’intervista andata poi in onda su Retequattro, nella trasmissione curata da Emilio Carelli: Parlamento In.
D. Vi ingegnavate allora, voi retroscenisti, per captare notizie. C’era la tecnica dell’imbucaggio alle riunioni di corrente, c’era la «auscultazione» dalle stanze attigue.
R. Questa storia del retroscena... spesso non è altro che una manchette, un gioco grafico sulla pagina di un giornale. Inizialmente vissuto come titolo onorifico, rischia di diventare una gabbia. Al fondo tutto si riduce a una domanda: nel pezzo ce l’hai una notizia? Altrimenti puoi affidarti a un’analisi, che vale se non è scontata.
D. Mettiamola così, lei per andare in caccia di notizie in quel modo, ha tastato la stoffa umana di diverse generazioni di politici. Che differenze riscontra fra quelli di allora e quelli di oggi?
R. Allora, per entrare in parlamento, bisognava aver fatto, dalle elementari all’università, della politica. Oggi arrivano col diplomino della Scuola Radio Elettra. E tutto questo in nome del ricambio, tutto nato sull’altare del rinnovamento dopo Tangentopoli. Mi fa orrore il qualunquismo, però...
D. Però?
R. Fossi quel tipo di italiano che evade il fisco, ha la villetta abusiva e sotto l’ombrellone urla «Anvedi quanto rubbano ’sti politici», direi che almeno quelli della Prima Repubblica sapevano rubare meglio e con più stile. È ovviamente una battuta, nel tentativo sbrigativo di ricordare la nobiltà di una stagione in cui l’Italia è arrivata a sedere nel G7 e nel G8.
D. Il tratto dominante, che oggi non trova, qual era?
R. La passione per la politica, senza dubbio. Giancarlo Pajetta in aula poteva pure staccare il microfono dal suo banco e scagliarlo verso i democristiani. Ma quando lo faceva non era a uso e consumo di teleobiettivi e telecamere che stavano in tribuna stampa. Oggi le aule del Parlamento, che contano sempre meno, sono diventati dei set televisivi.
D. Ma il retroscena con questi nuovi, con la Gens renziana, come fa a costruirselo?
R. E mi metto a parlare delle fonti? (ride). Comunque, in generale, noto una certa fiacchezza: anche il retroscena è stanco, ha i capelli bianchi, come me. Sia chiaro, io mi diverto sempre ma temo i prodotti avariati.
D. Eppure c’è stata una fase in cui il retroscena dette fastidio_
R. Fu a cavallo tra la fine della Prima Repubblica e l’avvio della Seconda. Al punto che D’Alema, quando arrivò a Palazzo Chigi, volendo tentare di addomesticare queste cronache parlamentari, iniziò a far diffonder retroscena dei consigli dei ministri da parte del suo staff. Divertente.
D. Si cercò di irreggimentarvi?
R. Era l’oste che spiegava quanto fosse buono il suo vino.
D. E oggi nota meno freschezza, diceva_
R. La freschezza la garantisce la notizia non il retroscena in ciclostile. E la notizia non è appaltata ai retroscena. Dai verbali del quinto governo di Alcide Gasperi emerge la ricostruzione di una riunione, durante la quale scoppiò una lite furibonda tra alcuni ministri, proprio a causa di una delicata notizia di politica estera trapelata dal Consiglio precedente. Si legge di De Gasperi che minacciò di non aprire più discussioni politiche nelle riunioni di governo... Non credo ci fosse scritto «retroscena» sul pezzo che aveva provocato quello scontro a Palazzo Chigi.
D. Con questo premier è più facile o più difficile carpire notizie?
R. Renzi è, in questo senso, molto simile a Silvio Berlusconi, ossia dice in pubblico quello che solitamente dice in privato. Quando il Cavaliere attaccava il presidente della Repubblica o dava dell’abbronzato a Barack Obama, che cosa volevi scrivere ancora? Fine delle trasmissioni. Però forse di Renzi - a parte il linguaggio molto colorito che usa in privato - ci sono passaggi che andrebbero approfonditi.
D. Del tipo?
R. L’incontro con Mario Draghi della scorsa estate...
D. A proposito di nuovi, i grillini che hanno scelto l’Aventino, ha mai provato a carpirne qualcosa?
R. Mai. Sarebbe stato come andare a guardare l’allenamento anziché la partita.
D. Altro nuovo: Matteo Salvini.
R. Perché, scusi, Salvini è nuovo? Era parlamentare italiano quando fece quella cantata, con un gruppo di amici lumbard, sui napoletani.
D. Ma lui si difese dicendo che era una goliardata.
R. Umberto Bossi gli disse pubblicamente che non aveva cantato neppure troppo bene e lo spedì a Strasburgo, eurodeputato. Ora è al secondo mandato al parlamento Ue. Insomma, non è questo giovincello che si dice.
D. Qui parla il calabrese che è in lei...
R. Ma no, Salvini, che ora farà la Lega nazionale, andrà certamente anche in Calabria. E i miei compaesani sono un popolo accogliente.
D. Senta, non è che, anche in politica, si stava meglio quando si stava peggio?
R. Di sicuro in passato c’era una maggiore conoscenza dei congiuntivi.
D. Beh c’era una prosa immaginifica, tanto per tornare a De Mita. Per non dire di Aldo Moro.
R. Moro al congresso della Dc di Napoli, nel 1962, parlò per sette ore e mezzo. Per Renzi sarebbe stato difficile twittare.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 28/11/2014