Gabriella Saba, il Venerdì 28/11/2014, 28 novembre 2014
IL TRISTE RECORD DELLE GIOVANI DONNE DEL SALVADOR
Che il suicidio sia la seconda causa di morte in Salvador per le adolescenti tra i 10 e i 19 anni è una notizia di per sé inquietante. Che rappresenti il 57 per cento delle cause di morte di ragazze incinte sarebbe un dato incredibile, non fosse che a divulgarlo è il governo di quel Paese: piccolo Stato di sei milioni di abitanti che sale alla cronaca soltanto per le guerre tra bande maras o eventi come l’elezione, qualche mese fa, dell’ex guerrigliero Salvador Sánchez Cerés alla presidenza della Repubblica. L’autore di un programma di aiuti sociali e di riduzione del divario tra ricchi e poveri, Sánchez Cerés ha parlato poco di uno dei problemi più drammatici della sua terra: la diffusissima violenza sessuale sulle bambine e sulle adolescenti, soprattutto nelle classi basse.
Gran parte delle ragazze che si uccidono sono rimaste incinte, infatti, a causa di uno stupro, spesso di un familiare, ma non lo denunciano per paura dello scandalo. Non è una soluzione nemmeno l’aborto, punito con la prigione fino a cinquant’anni anche se la gravidanza è un rischio per la madre o frutto di violenza, e le ragazze che vi ricorrono muoiono spesso a causa di sistemi barbari come l’ingestione di topicidi o i ferri da calza nell’utero.
Per spingere il governo ad affrontare il problema, Amnesty International ha presentato, qualche settimana fa, un dettagliato rapporto in cui sollecita una legge più morbida e chiede l’indulto per diciassette ragazze che scontano in prigione pene infinite. Le detenute assicurano di aver abortito spontaneamente, ma i tribunali sono di solito colpevolisti. Come nel caso celebre di Cristina Quintanilla che, dopo aver abortito al settimo mese di una gravidanza voluta e felice, è stata accusata di omicidio e condannata a trent’anni.