Paolo Mastrolilli, La Stampa 28/11/2014, 28 novembre 2014
LE NOZZE, UN FIGLIO E UNA PARRUCCA. I TRE MESI IN FUGA DELL’AGENTE WILSON
Aspettano un figlio, l’agente Wilson e sua moglie Barbara. Vogliono «una vita normale». Tipo la trama di «Gone Girl», dove la ragazza killer finge la gravidanza per essere compatita, e poi usa la tv per annunciare al mondo la riconciliazione col marito. Solo che qui stiamo parlando della realtà più tragica americana, colpevole o no che sia lui della morte di Michael Brown. E come nei film, Darren ha usato anche barbe finte e parrucche, per proteggere il suo anonimato durante il procedimento del Grand giury che lunedì lo ha scagionato.
La mattina del 19 agosto scorso, come hanno raccontato gli avvocati del poliziotto al «Washington Post» e alla Cnn, Wilson stava tagliando l’erba nel giardino della sua casa tipo ranch, che condivideva con la collega Barbara Spralding. Qualcuno lo ha avvertito che l’indirizzo era finito su Internet: Manda Lane, a Crestwood, un sobborgo di St. Louis che dista circa mezz’ora di strada da Ferguson. Là dieci giorni prima Darren aveva ucciso il diciottenne nero Mike, e mezzo mondo lo stava cercando: le minacce di morte delle nuove Black Panthers erano solo le ultime nella lista delle sue preoccupazioni. Aveva lasciato subito gli attrezzi in giardino, era corso in casa e aveva fatto la valigia. Sentiva di avere i minuti contati, chiunque poteva venire a cercarlo per fare giustizia a modo proprio.
Wilson aveva chiesto aiuto a un parente con un cognome diverso, e si era trasferito da lui, pensando che bastasse a scomparire dal radar. La sera stessa, però, i giornalisti erano arrivati davanti alla porta della nuova casa. Allora l’agente di Ferguson era scappato ancora, trovando rifugio da uno dei suoi avvocati, Greg Kloeppel. Si era fermato là per circa una settimana, prima di scegliere quella che i suoi legali descrivono ora come la sua nuova «collocazione permanente». E segreta.
Da quel momento in poi, per tre mesi e mezzo, il poliziotto più ricercato d’America si è nascosto. Primo, per la sua incolumità; secondo, perché gli avvocati avevano deciso che era meglio se fosse rimasto zitto, evitando di farsi vedere in giro. Era al minimo della popolarità, ma i suoi legali pensavano di poter sfruttare le contraddizioni dei testimoni per salvarlo. A patto però che la sua versione restasse sempre e solo quella dichiarata appena subito dopo l’uccisione di Brown: «Mi aveva aggredito, sono stato costretto a difendermi».
Darren ha rivelato di aver usato tecniche di mimetizzazione apprese nella polizia, per tenersi nascosto: «A un certo punto mi sono anche fatto crescere la barba. Era molto fastidiosa». E non solo. Il suo avvocato, scherzando ma non troppo, ha aggiunto che «ha indossato anche parecchi travestimenti da donna».
Per passare il tempo, e non morire di noia o di paura, Wilson andava parecchio al cinema. Si chiudeva dentro ai teatri bui, dove non poteva essere riconosciuto, e restava seduto per diverse proiezioni in silenzio: «Stai sempre in guardia - ha raccontato Darren alla Abc - chiedendoti se qualcuno ti ha riconosciuto, o qualcuno ti sta seguendo. Ancora adesso prendo precauzioni ovunque vado, da dove siedo al ristorante alla corsia dove guido la macchina. Ti passa per la testa ogni paura, devi considerare tutte le possibilità peggiori».
Pensava che quando tutto questo sarebbe finito, lui avrebbe ripreso la sua vita da poliziotto a Ferguson. Fino a quando il suo avvocato lo ha riportato con i piedi sulla terra: «Ah sì, davvero? E sai quale sarà la prima chiamata che riceverai, quando tornerai in servizio? Quella che ti attirerà in un vicolo buio, dove ti ammazzeranno». Darren allora si è rassegnato: «Capisco, la realtà è questa». Finora non ha presentato le dimissioni, solo perché farlo durante il Grand Jury avrebbe somigliato ad una dichiarazione di colpevolezza, ma è solo questione di giorni.
Eppure, anche vivendo in questa clandestinità, lui, 28 anni, e Barbara, 37, hanno trovato il tempo e il modo di sposarsi. Era il 24 ottobre scorso, e il giudice Christopher Graville li ha uniti in matrimonio a Oakland, Missouri. Neanche un mese dopo, aspettano il primo figlio: «Siamo persone normali, vogliamo solo vivere una vita normale. Cioè, una vita più normale possibile. Sappiamo che le cose saranno diverse. Però ci sarà una nuova normalità. Non so ancora quale, ma in qualche modo la troveremo».