Massimo Gaggi, Sette 28/11/2014, 28 novembre 2014
LA LUCE FUORI DAL TUNNEL
Quaranta miglia quadrate di abitazioni disabitate, 84 mila edifici abbandonati, spesso dati alle fiamme da gang di teppisti o dagli stessi proprietari a caccia di indennizzi assicurativi. Dei 700 mila abitanti rimasti in una città che nel 1960, l’era del boom dell’auto, contava quasi due milioni di anime, centomila non hanno nemmeno l’acqua corrente. Sembra il racconto di un’apocalisse. Ma Detroit che, pure, è finita in bancarotta, sta incominciando a vedere la luce. Il traino della ripresa dell’industria dell’auto c’entra ma solo fino a un certo punto, visto che tutti gli stabilimenti riattivati da Gm, Ford e Chrysler sono fuori dall’area urbana. Kevyn Orr, lo spietato commissario nominato dal governatore del Michigan, Rick Snyder, per gestire la fase dell’emergenza amministrativa, è stato a lungo odiato, quando ha messo con le spalle al muro i sindacati, riducendo drasticamente i dipendenti pubblici e imponendo un taglio delle loro pensioni. Ma ora, varato un piano che, insieme ai sacrifici (come la riduzione del 4,5% dei trattamenti previdenziali), prevede anche azioni di risanamento (mille nuovi lampioni della luce e 100 abitazioni demolite ogni settimana per rendere la città meno spettrale e più sicura), in una parte di Detroit sta tornando la vita: aziende che trasferiscono qui uffici e impianti, boutique e ristoranti alla moda che aprono in continuazione nei quartieri risanati. È solo uno spicchio della vecchia metropoli, certo, ma la ripresa è palpabile. Liberata dai 18 miliardi di dollari di debiti che la stavano uccidendo, la città sembra improvvisamente diventata una meta attraente per molti. Arrivano gli investitori internazionali che trovano conveniente aprire qui uffici, laboratori e anche impianti industriali come quello di Shinola, la prima fabbrica americana di orologi da molti anni a questa parte (foto in alto). Per molti l’eroe è proprio Orr che, demonizzato fino a ieri, oggi passa per il condottiero che ha salvato il salvabile (compresa la collezione d’arte della pinacoteca pubblica che stava per essere venduta per poco meno di un miliardo di dollari). Altri incoronano il governatore Snyder che ha affrontato le proteste popolari, ha convinto il sindaco della città a farsi da parte e ha difeso a spada tratta Orr nei momenti più difficili. Ma in realtà il vero padre della rinascita di Detroit è un miliardario locale: Dan Gilbert. La sua biografia non è esattamente quella di un eroe o di un filantropo: Dan ha fatto i soldi (un patrimonio di oltre 4 miliardi di dollari ) con Quicken Loans, la seconda società di mutui immobiliari d’America, e coi casinò che possiede in quattro città americane. Ha una certa propensione a regalarsi giocattoli costosi come la squadra di basket Nba dei Cleveland Cavaliers. Del resto la battaglia per ridare vita a Detroit Gilbert l’ha condotta anche con l’obiettivo di costruire un grosso business. Ma ha rischiato grosso dove altri avevano fallito prima di lui: ha cominciato quattro anni fa investendo quasi un miliardo e mezzo di dollari nell’acquisto di 60 palazzi semiabbandonati in centro, poi si è messo a lavorare sul risanamento dei quartieri e la riorganizzazione dei servizi con la passione del pianificatore urbano. Quindi la parte più difficile: trovare gli inquilini. Lui prima ha dato l’esempio spostando i suoi 12 mila dipendenti nell’area, poi ha convinto altre aziende, da Microsoft a Twitter alla stessa Chrysler, a portare alcune loro attività in città: altri 6.500 posti di lavoro. Infine si è messo a corteggiare i giovani della generazione dei “millennials”, convincendone diversi a basare le loro “start up” in una metropoli industriale arrugginita (e gelida d’inverno) anziché in Silicon Valley o a Manhattan. Col basso costo del mattone e la moltiplicazione dei locali di tendenza, il vulcanico imprenditore è riuscito a rendere attraente l’immagine della nuova Detroit: le imprese che hanno offerto 1.300 “internship” estive a giovani desiderosi di fare un’esperienza in azienda, sono state sommerse da 22 mila domande. Durerà? Trainata da campagne pubblicitarie come quelle della Chrysler che hanno dato alla volontà di riscatto della città la faccia di Eminem o di Clint Eastwood, Detroit spera che questa sia la volta buona. Ma sa che altri hanno fallito in passato. Come la Gm quando costruì tra il vecchio centro e il fiume il gigantesco Renaissance Center (qui a lato): una cattedrale di torri di cristallo rimasta isolata nel deserto urbano. Ma Dan ha avviato un’operazione diversa, risanando il territorio palmo a palmo. E sta funzionando: qualcuno, sulla stampa locale, ha già ribattezzato Detroit Gilbertville.