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 2014  novembre 28 Venerdì calendario

L’ORO DELL’AIDA

[Intervista a Romolo e Cristina Sormani] –
Dal primo copricapo di Radames all’ultimo trono della Aida molto dell’oro e dei lustrini che sono stati messi in scena alla Scala negli ultimi centocinquant’anni sono nati nella ditta di attrezzeria E. Rancati a Cornaredo poco lontano dalle campagne che circondano il cantiere Expo a ovest di Milano (un’altra sede è a Guidonia, Roma).
L’origine della ditta risale alla seconda metà dell’Ottocento. Allora, Pietro Zaffaroni, con la moglie Giulia Sormani e i fratelli di lei, Angelo e Giuseppe, avevano un laboratorio di attrezzeria teatrale a Milano che forniva la Scala. Nel 1864 Giulia Sormani, rimasta vedova, ereditò l’attività del marito e con lo scultore Edoardo Rancati, insegnante all’Accademia di Belle Arti di Brera e suo secondo marito, costituì la E. Rancati & C., che compie nel 2014 centocinquant’anni. Da allora fu una continua espansione.
«Nel 1893 Angelo Sormani aprì la succursale di Roma. Nel 1892 la Rancati venne premiata all’esposizione mondiale di Chicago e dal 1912 Romolo Sormani, figlio di Angelo, iniziò a collaborare con i più grandi maestri del tempo, da Puccini a Mascagni, da Toscanini a Savinio, da De Chirico a Sironi al fraterno amico Nicola Benois», raccontano oggi i fratelli Romolo e Cristina Sormani che dirigono la ditta. «Negli anni ’30 e ’40 del Novecento inizia anche il lungo sodalizio con il cinema sviluppato da nostro zio Angelo a Roma, e dai fratelli Anna e nostro padre Giuseppe, a Milano».
Quante generazioni si sono succedute?
«Quattro generazioni. Abbiamo attraversato l’Unità d’Italia, due guerre mondiali, siamo stati parte attiva delle origini del melodramma e della nascita del cinema».
Per quali film avete lavorato?
«Molti, da La dolce vita a Ben Hur, El Cid, ai più recenti Alexander, Pirates of the Caribbean, Gladiator, The Borgias e The Tudors».
Oltre alla Scala con quali teatri lavorate?
«Molti in Italia e, all’estero, stiamo lavorando con il festival di Wexford, The Israeli Opera, l’Opera di Bilbao, Rouen, New National Theatre di Tokyo. Il Giappone è stato un mercato molto importante. Con altri Paesi liricalmente emergenti, come Cina o Uzbekistan, siamo invece economicamente poco competitivi, ma è riconosciuta la nostra qualità».
La ditta di Cornaredo è costituita da enormi capannoni che custodiscono migliaia e migliaia di oggetti e un archivio fornitissimo di disegni, progetti, indicazioni scenografiche… «Il nostro archivio parte dal 1886 e si è fermato solo con l’avvento delle tecnologie informatiche. È costituito da note di attrezzeria, bozzetti, campioni di tessuti e materiale». Nel magazzino, allineati e divisi per epoca, ci sono migliaia di oggetti, spesso identici, tutti lavorati a mano uno per uno, come avviene ancora oggi nella fabbrica-bottega».
Quanti oggetti avete in magazzino?
«Abbiamo 18.200 spade, 2.200 sedie, 1.300 candelabri, 3.200 anelli e orecchini, 10.500 elmi, 10.800 bicchieri… I pezzi più antichi riguardano oggetti teatrali delle prime rappresentazioni assolute alla Scala: Otello del 1887 e il Falstaff del 1893. Verdi le compose, la Rancati le mise in scena».
Dalla prima all’ultima Aida come è cambiato il modo di costruire attrezzi scenici?
«Si è trasformato lo stile. Nell’800 l’attrezzeria aveva un gusto più teatrale, finto. Adesso è realistico, seppur in molti casi di fantasia. Sono cambiati i materiali e le tecniche di realizzazione».
Cosa è più difficile realizzare?
«Nulla, tutto è possibile! Gli oggetti, fino a vent’anni fa, erano di ordinaria lavorazione. Ora sono più complessi da realizzare perché l’artigianato va scomparendo: cesellatori, viminai (lavorano il vimini, ndr), intagliatori del legno, forgiatori, pellettieri… In Italia non c’è la cultura dell’insegnare e tramandare le tradizioni di alta qualità. Il futuro è investire nella conoscenza, nei nuovi materiali e nelle nuove tecnologie: resine, poliuretani, lavorazioni laser, stampaggio. L’artigiano di oggi deve mescolare il know-how artigianale con strumenti e materiali di alta tecnologia. Per un film in lavorazione abbiamo digitalizzato e poi stampato elmi e corazze di metallo tramite idroformatura, una sofisticata tecnologia utilizzata dall’industria automobilistica».
Come si lavora oggi in una fabbrica di attrezzeria?
«Le tecnologie digitali hanno rivoluzionato il settore: per gli eserciti dei film, negli anni ’40-60 venivano realizzati centinaia di elmi e corazze, arredi. Oggi le inquadrature sono sempre più strette e gli eserciti sono composti da 40-60 soldati moltiplicati all’infinito con tecniche di fotomontaggio. Mio zio Angelo e mio padre Giuseppe, per Ben Hur, Waterloo realizzarono corazze, elmi, spade… per ben 500 comparse».
Come si è sviluppato il rapporto con scenografi, costumisti e arredatori?
«Sono rimasti in pochi gli scenografi e i costumisti che disegnano il bozzetto da cui partire per sviluppare insieme un concetto estetico. Sempre più spesso ci inviano una foto scaricata da internet per darci indicazioni di quello che vogliono. E poi comanda solo il budget sempre più ristretto, specialmente in Italia».
Comanda anche la tecnologia 3D?
«Non sempre. Nel nostro settore alcune tecnologie non riescono ancora a sostituire la manualità dell’artigiano. Abbiamo provato a fare modelli con stampanti 3D ma i costi di programmazione sono troppo alti per realizzare manufatti artistici. A volte è ancora più economico, ed esteticamente più bello, farli in maniera tradizionale».
Si lavora anche per grandi eventi?
«Sì, dalle Olimpiadi invernali di Torino a Madonna Superbowl 2012, passando per grandiose nozze di ricchi stranieri che amano sposarsi in Italia. Senza dimenticare le passerelle della moda».
Toccati dalla crisi?
«I fornitori italiani di attrezzerie, scenografie, sartorie, scarpe e parrucche sono i migliori al mondo, ma stanno attraversando una forte crisi. In Italia le poche produzioni di film e fiction sono a budget ridottissimo. Al mercato estero dovremmo proporci come consorzio di fornitori. Ma è difficile. Lo Stato dovrebbe incentivare le produzioni estere a ritornare a girare in Italia offrendo sgravi fiscali. Gli studi, le location e i fornitori, con la loro grande esperienza e capacità ci sono. Nei teatri italiani, invece, ci sono ancora grandi sprechi e non si investe in cultura».