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 2014  novembre 22 Sabato calendario

IL GENIO IN UN ARMADIO


A New York, affacciato sulla Fifth Avenue e al settimo piano del santuario della moda Bergdorf Goodman, c’è un luogo speciale. È un ufficio ovattato, di velluto, sulla targa c’è scritto “Solutions” e, dietro quella porta, si trovano non solo soluzioni a problemi superficiali, ma anche a immensi interrogativi della vita, tipo: qual è la più grande paura dell’essere umano femminile? «È la prova dei tripli specchi in camerino», non ha dubbi Betty Halbreich, che di quell’ufficio è titolare.
Come riesca a mantenere l’ironia tanto affilata una donna che ogni giorno, da 38 anni, varca la soglia (se pure di un leggendario emporio del lusso) alle 8.30 di mattina, percorre i quattro piani di abbigliamento e arriva nel suo piccolo grande regno per uscirne alle 18 è, anche questo, un immenso interrogativo. Eppure, all’approssimarsi degli 87 anni, Betty Halbreich è ancora saldamente a capo del servizio di personal shopping – un eufemismo riduttivo, applicato a un pronto soccorso psicosomatico per primarie necessità o capricci a 360 gradi – creato su misura per lei nel 1978 da Ira Neimark, ai tempi ceo di BG, e dove da allora ha vestito e svestito le clienti come fossero bamboline di carta. Alcune si chiamavano Candice Bergen e Liza Minnelli, altre Betty Ford e Meryl Streep, o ancora Estée Lauder e Sarah Jessica Parker.
La fashion therapist più celebre di Manhattan, autrice della deliziosa autobiografia I’ll Drink to That (Penguin Books, di cui Lena Dunham ha acquistato i diritti per farne una serie Hbo), oggi indossa «una giacca a quadretti Armani con maniche a tre quarti, pantaloni chiari di gabardine e una semplice T-shirt. Devo averla comprata da Gap». Al telefono si presenta amabile e con precisione chirurgica indugia sui particolari, nonostante gli impegni in agenda e l’ora: le 11.30 del mattino, rush hour per lo shopping dei quartieri alti, in cui gli acquisti diventano frettolosi per arrivare puntuali alla colazione con le amiche.
La voce rivela lo spirito monello di una ragazzina che non perde l’occasione di dire quello che pensa: «Alla mia età sento di potermelo permettere». Molti non gradiscono la sua schiettezza, soprattutto quelli dell’ultima generazione di nouveaux riches che, da ogni parte del mondo, atterrano sui piani di lusso e che lei puntualmente rimbalza nel caso siano «maleducati e supponenti: anche se sono regine di Prussia non posso di certo servire due clienti alla volta».
Hai voglia a non dimostrare tutti i tuoi 87 anni in quanto a tolleranza e non cedere ai confronti, se hai vissuto il meglio degli anni ruggenti della moda all dress up, quando i Martini scorrevano a fiumi in nightclub come il Morocco o il Copacabana, le signore facevano petit dejeneur alle 10 con una sigaretta e «l’unico obiettivo della giornata era pensare a cosa mettersi la sera, in un’estenuante gara di eleganza». Non c’è rimpianto, né malinconia: «Però allora sì che ci si vestiva bene». Oggi invece le donne «sono cloni. Tutte uguali. Le vedo ogni mattina mentre vengo al lavoro: caffè in una mano, pantaloni aderenti, tacchi innaturali, sciarpona intorno al collo e capelli lunghi, sventolati a destra e sinistra». È la Fifth Avenue, ma potrebbero essere gli Champs Elysèe, King’s Road o corso Venezia.
Anche se le ritiene cambiate, le donne, le sue clienti, continua ad amarle come figlie riservando loro tutte le attenzioni materne che le sono mancate da bambina. Ha la «sindrome della casa delle bambole», dice Halbreich, che fin da piccola amava giocare con i vestiti: «Mi chiudevo nell’armadio di mamma e, in mancanza sua, mi accontentavo di stare con i suoi abiti, le sue scarpe, i negligé». La madre, un’esponente dell’upper class di Chicago, amava molto la piccola Betty ma conduceva un’indefessa vita sociale. «Aveva un negozio di libri, era una donna colta e brillante». Più che il senso per la moda le ha trasmesso il buon gusto. «E l’amore per la lettura. Ora sul comodino ho Elena Ferrante, sa?». Non a caso la scrittrice misteriosa napoletana, con il suo Those Who Live and Those Who Stay, come suona la traduzione di L’amica geniale. Storia di chi fugge e di chi resta, è l’ultimo accessorio di moda a Manhattan. La cosa più sorprendente è che a Betty Halbreich, una che nel suo appartamento di Park Avenue ha 12 armadi e non va a letto la sera se prima non ha riposto l’ultimo ninnolo nella propria scatola, la moda non interessa. Chanel o Ralph Lauren, Prada o Givenchy, non ha mai avuto o trasmesso preferenze per un brand particolare («ma ho conosciuto Carla Fendi, mi piacciono Giambattista Valli e Bottega Veneta», dice in omaggio alla nostra italianità). «Non guardo mai l’etichetta: piuttosto se quell’abito dona e fa sentire a proprio agio».
Il suo lavoro, che è piuttosto l’effetto collaterale del gusto innato nell’abbinare colori e stili, le è servito per raggiungere l’indipendenza durante e dopo la soffertissima separazione dal marito Sonny («Ma non mi definisco “femminista”»). La depressione, il ricovero in clinica lontana dai figli, non è stata l’unica prova della sua vita: Halbreich ha sconfitto la polio, subito un’isterectomia, un cancro al seno e la morte di Jim, suo secondo grande amore.
Accompagnata costantemente del terrore della solitudine, il rapporto umano con le clienti è stato un balsamo. «Ho avuto la fortuna di conoscere persone straordinarie». Qualcuna famosa in particolare? «Penso a Lauren Bacall, Joan Rivers, Patricia Fields», sua amica dagli anni 90, quando Halbreich cominciò a fare da consulente per la costumista di Sex and The City: «Con i suoi tatuaggi, i reggiseni a vista, le esagerazioni... Eppure tutto insieme quello che indossa, be’, funziona». E c’è anche Lena Dunham, «adorabile e vicina» nonostante i 60 anni di differenza. «Non vedo l’ora di realizzare il nostro progetto per la tv, spero nel 2015» (al lavoro c’è anche Jenni Konner, stessa coautrice del serial Giris).
Ma c’è qualcuna che vorrebbe vestire, o che avrebbe bisogno di essere rivestita da lei? «Per me le clienti sono tutte uguali, star di Hollywood o gente comune». E commettono tutte gli stessi errori: «Sottostimano la propria taglia. E poi portano i propri armadi a un pericoloso punto di saturazione. Io sono ossessionata dall’ordine, ma l’organizzazione del proprio armadio è fondamentale». Certo, in fatto di errori è difficile sbagliare se si fa shopping in un emporio come Bergdorf Goodman: «Io non ne ho mai fatto una questione di budget, ma di gusto. Oggi ci si può vestire bene anche da JCrew. Lo conosce?».