Lidia Baratta, D, la Repubblica 22/11/2014, 22 novembre 2014
PERCHÉ TUTTI VOGLIONO QUINOA
Da alimento povero dei contadini delle Ande a specialità senza glutine a cinque stelle. La quinoa – a semi bianchi, rossi o neri – è il superfood mondiale del momento. Anche in Italia la richiesta ha superato le 300 tonnellate all’anno (100 in più rispetto al 2010) e se prima si trovava solo nei negozi bio, ora compare sugli scaffali dei supermercati e nei menù dei ristoranti.
Sembra un cereale ma non lo è ed è tanto nutriente da essere nella dieta degli astronauti. Più ricca di ferro degli spinaci, più proteica della soia, la pianta sudamericana è il sogno di ogni nutrizionista, contiene tutti i dieci aminoacidi essenziali, è ricca di sali minerali ed è pure “gluten free”.
I contadini boliviani e peruviani se n’erano accorti millenni fa, ma ora che i consumi dei cibi bio e/o senza glutine sono cresciuti a qualsiasi altitudine, il grano de oro degli indios è sempre più richiesto anche sulle nostre tavole. L’Italia è uno dei maggiori importatori d’Europa, con una domanda che è cresciuta del 71% solo tra il 2005 e il 2009. Per vegetariani e vegani la quinoa è un’alternativa proteica alla carne, per celiaci e intolleranti è un sostituto del grano. Le foglie si mangiano come contorno, i semi si usano come il riso, la pasta e i cereali (ma solo dopo essere stati lavati per eliminare le saponine, che danno un gusto amaro). In commercio, a base di quinoa, si trovano pure la farina, sempre miscelata con altre per il sapore non troppo gradevole, la birra e il latte. Ma quello che nel resto del mondo è un successo, tra gli altipiani andini sta modificando paesaggi e abitudini alimentari. Dal 2000 a oggi le esportazioni di quinoa verso l’America del Nord ed Europa sono più che triplicate. E anche i prezzi sono esplosi. Nei mercati di Lima la quinoa costa ormai più del pollo, mentre fuori dalle città i campi si stanno trasformando in monocolture. Anche da noi i prezzi sono alti: al supermercato un chilo costa tra i 10 e i 15 euro e nei negozi bio 500 grammi di quinoa “real” (una delle più diffuse tra le 200 qualità) superano gli 8 euro. «Gran parte della granella prodotta viene esportata», spiega Enrico Avitabile, ricercatore all’Università Roma Tre che da anni studia la quinoa per conto della Fao. «La riscoperta di questo alimento è stato un riconoscimento culturale per gli indios. E l’altopiano meridionale boliviano si sta ripopolando, con il ritorno dei giovani dalle città». Solo in Bolivia, che fornisce più della metà di tutta la quinoa mondiale, dal 2010 al 2013 le aree coltivate sono cresciute del 61%. Il prezzo alla produzione è passato dai 526 dollari a tonnellata del 2000 ai 1.373 del 2012 (Faostat).
«L’aumento dei prezzi significa aumento dei redditi per i contadini», spiega Avitabile, «cosa che permette loro un maggiore accesso al credito, reinvestito per la produzione, ma anche per ristrutturare case, dotarle di servizi igienici ed elettricità». Più complessi gli effetti sulle fasce deboli, per le quali il prezzo è un ostacolo al consumo. Se nel 2000 per comprarne un quintale bastavano 80 bolivianos (9 euro), oggi ne servono 800. Attratti dagli alti guadagni, i contadini finiscono per vendere tutta la produzione, scambiandola con cereali a più basso potere nutritivo. Solo in Bolivia, dove nel 2000 si mangiavano oltre 2,5 chili di quinoa a testa, il consumo procapite si è quasi dimezzato. E i casi di malnutrizione, nonostante si produca uno dei cibi più nutrienti al mondo, raggiungono il 24%.
Negli Stati Uniti c’è chi ha pensato di boicottare il grano de oro in modo da far calare i prezzi nei paesi d’origine. «La soluzione non è il boicottaggio. In qualsiasi modo vengano indirizzati i consumi, ci saranno conseguenze negative sui contadini», ha scritto Tanya Kerrsen, ricercatrice dell’istituto Food First. «Servono riforme che stimolino un mercato interno non destinato all’esportazione». Una soluzione potrebbe essere «formare i campesinos in modo che tengano una parte della produzione per il proprio consumo», spiega Luca Palagi, responsabile della filiera della quinoa per Altromercato. «La parte venduta permette loro di avere i soldi per comprare carne e frutta, prima inaccessibili».
Sugli altopiani a oltre 3mila metri sul mare, in effetti, coltivare qualcosa di diverso dalla quinoa è sempre stato impossibile. E sono proprio questi altopiani aridi a subire ora gli effetti negativi delle coltivazioni intensive. «Il risvolto ambientale è il principale problema», spiega Luca Palagi. «Intensificando la produzione, non si rispettano le rotazioni e i periodi di riposo dei terreni, alterando anche l’equilibrio tra agricoltura e pastorizia». Gli indios dicono che «la quinoa senza lama non esiste», visto che per millenni questi animali hanno fertilizzato in maniera naturale i terreni coltivati. Ora, a parte qualche coltivazione come quelle gestite dalla Anapqui (Associazione nazionale produttori quinoa), le mandrie vengono messe da parte per lasciare spazio alle monocolture. Tutto questo, unito all’uso dei trattori, favorisce la desertificazione di un terreno già fragile, esposto a temperature estreme, piogge scarse e alta salinità.
La quinoa ha resistito per millenni a queste condizioni, fornendo alle popolazioni più proteine di grano, mais e riso. Tanto che l’Onu nel 2013 ha proclamato l’Anno internazionale della quinoa. «Un alleato», ha detto il direttore generale della Fao José Graziano da Silva, «nella lotta contro la fame e la denutrizione», anche nei paesi africani e asiatici colpiti dalla siccità.
Per avere lo stesso effetto nutritivo di un piatto di quinoa, dovremmo abbinare cereali e legumi. «La quinoa, da sola, fa per due», dice Alfredo Vanotti, professore di Dietetica e nutrizione all’Università Bicocca di Milano. «Contiene proteine simili a quelle di carne, pesce e uova che servono ai tessuti». In più è ricca di fibre, sali minerali e acidi grassi Omega 3 e 6. Ed è pure indicata per i diabetici, «avendo un indice glicemico più basso del riso». Può essere usata per lo svezzamento dei neonati, ma i nutrizionisti consigliano di accompagnarla ad altri alimenti perché priva di vitamina B12 e povera di calcio.
Dall’America latina, le coltivazioni si sono diffuse in Canada, Usa, Africa, India, Cina e in paesi europei come Danimarca, Francia e Regno Unito. In Italia, il Consiglio nazionale delle ricerche dal 2006 ha avviato una sperimentazione in Campania. «Esiste un’alta variabilità genetica di quinoa, da quella che cresce a 4mila metri a quella acclimatata sulle coste», spiega Cataldo Pulvento, agronomo alla guida del team di ricerca. «Noi stiamo studiando quale genotipo si adatta meglio ai nostri ambienti». Intanto, piccoli appezzamenti coltivati con la granella degli Incas stanno spuntando anche da noi, tra Avellino, Latina e Pavia. L’unico produttore a pieno campo, con 20 ettari di terreno, si trova a Jesi, Ancona. Emanuele Zannini guida l’azienda gestita con i fratelli. «Esportiamo la quinoa a pastifici, mulini e ditte straniere che producono zuppe pronte», dice. «In Italia mancano le aziende che si occupano della trasformazione dei semi». E ora anche gli agricoltori italiani iniziano a intuirne il potenziale economico. «Mi contattano da ogni parte d’Italia», dice Zannini. «Nei prossimi anni cresceranno le coltivazioni anche da noi. E aumentando l’offerta, il prezzo scenderà».