Paola Scaccabarozzi, D, la Repubblica 22/11/2014, 22 novembre 2014
SENO MADE IN USA, GLUTEI BRASILIANI, NASO ITALIANO. È LA GEOGRAFIA DELLA BELLEZZA
Al primo posto il Brasile, con 1.491.721 interventi e 5.473 chirurghi plastici. Medaglia d’argento agli Stati Uniti, 1.452.000 operazioni e 6.133 chirurghi plastici, di bronzo al Messico, 486.000 interventi e 1.550 chirurghi plastici. E si capisce già al volo che la bellezza “aiutata” è uno dei più poderosi business d’Oltreoceano. A seguire, e sempre stando ai dati 2013 della International Society of Aesthetic Plastic Surgery (Isaps), la più grande associazione mondiale di chirurghi plastici estetici, si piazzano Germania, Spagna, Colombia e, al settimo posto, l’Italia, con 182.680 interventi per circa 1.200 chirurghi plastici.
Questa la classifica. Da interpretare, in base ai gusti estetici nazionali ma non solo. Perché chi non è stata baciata dalla genetica (le donne vincono 4 a 1) o non accetta le modifiche al corpo che il tempo impone, ricorre al bisturi con motivazioni e aspettative che dipendono dalla cultura e dal trend in cui è cresciuta.
Vediamo gli Usa, dove per gli interventi plastici l’anno scorso si sono spesi più di 12 miliardi di dollari, mai così tanto dal 2008, e dove il seno è ritornato protagonista, non solo per esser aumentato di volume (tra i desideri delle 30enni) ma anche risollevato e ringiovanito (40 e 50enni): è indubbio che il fenomeno sia un indicatore di ripresa economica, con le donne di nuovo pronte a investire sulla loro forma fisica e sul loro empowerment. Conferma Fabrizio Malan, presidente della Società di chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica (Sicpre) e primario di chirurgia plastica e ricostruttiva dell’ospedale Città della Salute e della Scienza di Torino: «Gli Stati Uniti sono la capitale indiscussa della mastoplastica additiva, cioè dell’aumento del volume del seno, che costituisce comunque il 15,3% del totale degli interventi nel mondo». Prosegue: «Le americane prediligono seni vistosi. Dipende, in parte, dalla loro struttura fisica, predisposta a sostenere mammelle più ponderose, ma soprattutto dalla loro cultura estetica, in genere portata all’eccesso più di quanto lo sia, per esempio, quella europea e italiana. Sta di fatto che negli Usa imperversano non solo seni un po’ innaturali, ma anche cicatrici. In Europa si sta invece molto attenti a non lasciare segni». Lo dimostra una nuova tecnica di mastoplastica di cui si è parlato al congresso nazionale della Società di chirurgia plastica ed estetica, appena tenutosi a Bergamo. Si tratta di abbinare al “classico” impianto di protesi di silicone l’autotrapianto di grasso. Dopo aver inserito le protesi, si esegue una piccola lipoaspirazione che preleva tessuto adiposo da cosce, fianchi o addome. Il grasso è quindi depurato, trattato e trasferito nelle mammelle. Spiega Malan: «Lo si fa per addolcire il margine superiore delle protesi, che potrebbe risultare visibile e antiestetico, sopratutto nelle donne minute». Un intervento, questo, molto apprezzato in Italia.
E a proposito di Italia-Usa, c’è chi dice che la vera differenza culturale stia piuttosto nell’età di approccio al bisturi e al sogno di un volto “fresco”. Con le italiane a ricorrere al lifting intorno ai 60 anni, mentre le americane ci arrivano sui 45-50. Sarà. Ma il rifiuto dell’aspetto artefatto da parte delle europee, e italiane soprattutto, è basilare proprio quando si parla di viso e in particolare di naso. Ricorda Marco Klinger, responsabile dell’unità operativa di chirurgia plastica all’Istituto Clinico Humanitas, professore di Chirurgia plastica ricostruttiva ed estetica all’Università degli Studi di Milano: «Non è solo il volto a denunciare i segni del tempo, invecchia pure il naso. Come tutti i tessuti del corpo, risente della forza di gravità: la sua punta tende ad abbassarsi, la percezione delle sue dimensioni muta, sembra più grosso, anche perché si riduce il volume di guance e zigomi, a causa del fisiologico atrofizzarsi dei depositi di grasso. Allora si ricorre, sempre più spesso, all’intervento di “rino-tip”. Generalmente si esegue in anestesia locale, non lascia cicatrici visibili, comporta una convalescenza breve, fa recuperare l’armonia dei lineamenti e li rinfresca».
Ma l’eldorado da indagare, dati alla mano, è l’America latina. Brasile in testa: è leader mondiale, con 1.490.000 ritocchi estetici, 40.000 in più degli Usa, nel 2013, e con il suo risaputo “culto” del lato B. «Non a caso in Brasile si interviene soprattutto sui glutei, con la liposuzione (13,9% del totale degli interventi mondiali di chirurgia estetica) e anche con l’aumento del volume, grazie a protesi e innesti di grasso», spiega Malan. «E ciò è legato sia a una struttura fisica di partenza, sia a un gusto radicato. A Rio de Janeiro, tutte le ragazze indossano leggings con lunghe magliette arricciate sul posteriore». Ma andrebbe fatta pure una considerazione di tipo economico: le parcelle brasiliane di chirurgia plastica possono essere pagate a rate negli anni, e ingolosiscono molte pazienti straniere, anche italiane, per l’abbordabilità (altro paese gettonato è il Venezuela, dove una mastoplastica costa anche 10 volte di meno che da noi). Si parla persino di migliaia di operazioni plastiche offerte gratis a chi non potrebbe permettersele.
C’è poi un Eldorado emergente, l’Oriente. Dove imperverserebbe il modello-Barbie. Più le assomigli, più sei bella. Francesco D’Andrea, professore ordinario di Chirurgia plastica alla II Università di Napoli e tesoriere della Sicpre, spiega: «Vanno molto le blefaroplastiche che rendono gli occhi meno allungati (meno all’orientale), e le rinoplastiche per affilare il naso». In crescita esponenziale il numero di interventi plastici in Corea del Sud, Cina e Giappone. «E in sensibile aumento anche in Russia», aggiunge Malan. Dove sono richieste operazioni di tutti i tipi, dalla mastoplastica additiva al lifting per combattere l’invecchiamento, all’addominoplastica, soprattutto per donne e uomini in sovrappeso. Racconta Marco Gasparotti, specialista in chirurgia ricostruttiva ed estetica a Roma, e docente al master di chirurgia estetica all’Università di Padova e Siena: «I russi, però, si rivolgono soprattutto ai chirurghi europei: nei paesi dell’Est non s’è ancora affermata una tradizione di medicina estetica. Si preferisce espatriare». Resta da esplorare un ultimo continente. «In Africa, e non è una sorpresa, gli interventi puramente estetici sono rari», dice Fabrizio Malan. «Sia per ragioni ovvie di tipo economico, sia perché la pelle scura crea più problemi nel postoperatorio. Le cicatrici sono più evidenti e il risultato è spesso poco gradevole». Diversa la questione nel Maghreb e nel Medio Oriente. Qui le disponibilità economiche sono maggiori, concordano gli esperti. E la pelle è più chiara. Dunque sono numerosi gli uomini dei paesi musulmani che optano per la rinoplastica. I loro nasi sono generalmente imponenti e pronunciati, quindi vanno dal chirurgo. Il discorso vale anche per la Turchia, dove spesso ci si opera al naso (soprattutto uomini), ma anche al seno, si fa la liposuzione e il lifting. Come in Libia e Kuwait, perché le donne arabe sono curate e sofisticate.
Ma c’è un tipo di chirurgia estetica praticata con la stessa frequenza pressoché in ogni parte del mondo? Risponde Gasparotti: «Sì, la ninfoplastica, la chirurgia genitale. Nata in Olanda una decina d’anni fa, è stata subito esportata prima negli Usa e poi ovunque, per rispondere a un problema funzionale, il dolore durante il rapporto sessuale, ma anche estetico». I dati raccolti dalla Società italiana di chirurgia ginecologica, relativi al 2012, parlano di un +24% per i ritocchi “intimi” nel nostro Paese, e di un +50% negli Usa.