Guido Santevecchi, IoDonna 22/11/2014, 22 novembre 2014
LE TRUPPE GOURMET DELLA SIGNORA QIN
I cinesi in confidenza tra loro e di una certa età possono salutarsi così, a qualsiasi ora: «Chi le ma?». Significa «Hai mangiato oggi?». Dietro questo modo di dire c’è l’intimità di sedersi a tavola insieme e anche, soprattutto, l’importanza del cibo in una grande nazione che ha attraversato terribili carestie. Ma ora la Cina è la seconda potenza economica del mondo. Già la prima, se si prendono per buone le formule degli economisti che contano il «potere d’acquisto aggiustato ai prezzi locali».
Tutti hanno da mangiare a sufficienza, più o meno. Anche troppo: in un qualunque ristorante o bettola della Repubblica popolare basta guardare nei piatti (d’accordo, sarebbe maleducazione, ma noi lo abbiamo fatto per dovere di cronaca), per essere colpiti dalla quantità di cibo avanzato. È una regola di bon ton in salsa mandarina: mai finire tutto, perché chi ha invitato si sentirebbe umiliato per non aver preparato ancora di più.
In un Paese-continente con 1,4 miliardi di abitanti, non c’è da stupirsi che ci sia anche il ristorante più grande dell’Asia, forse anche del mondo. Già il nome è un programma: Xihulou, Palazzo del lago occidentale. È alle porte di Changsha, capoluogo della provincia centrale dello Hunan. Il Guinness dei primati riporta che i tavoli si estendono su una superficie pari a otto campi di calcio, cinquemila posti a sedere. Architettura studiata per impressionare: padiglioni in stile imperiale, che ricordano quelli della Città proibita, sale e salette riservate, a seconda di quanto si vuole spendere.
Lo Xihulou è uno spaccato della grande apertura della Cina all’economia di mercato, al capitalismo. La sua storia comincia nel 2000, quando la signora Qin Lingzhi, impiegata in un ospedale, fu abbandonata dal marito e si trovò sola a dover crescere una figlia. Pensò di mettersi in affari: chiese un prestito a parenti e amici (il famoso guanxi, tessuto connettivo della società cinese). Con i 10 mila dollari ricevuti aprì un primo locale che ebbe uno strepitoso successo: incassò 600 mila dollari in un anno. Qin saldò il debito e si allargò: nel 2004 aprì il mega-ristorante ed entrò nel Guinness.
numeri sono impressionanti: mille dipendenti, tra i quali 300 chef e un battaglione di cameriere vestite da principesse imperiali, portieri, ballerini, perché si tengono spettacoli di danza classica. Ogni settimana nelle pentole finiscono tra l’altro mille anatre, settecento polli, una tonnellata di carne di maiale, migliaia di pesci e... e duecento serpenti (per i forti di stomaco). Una delle specialità del menù è il «pesce vivo, fritto». Il cuoco lo prende da una vasca, gli toglie in un attimo le interiora e lo scotta nell’olio.
Dal punto di vista commerciale, la forza di questo ristorante fabbrica di lusso è l’allestimento dei banchetti. C’è gente che spende fino a sei milioni di yuan (quasi 800 mila euro) per un ricevimento di matrimonio. «Il pranzo di nozze è un evento nella vita, alla gente piace spendere e le famiglie cinesi invitano più gente che possono per fare bella figura. Altre ragazze, le amiche degli sposi, restano impressionate, si crea l’effetto emulazione» spiega la signora Qin Lingzhi.
Anche l’invidia è l’anima del commercio: Qin è milionaria e ha anche la tessera del partito comunista, perché in questa Cina «arricchirsi è glorioso», come disse il saggio Deng Xiaoping quando nel 1992 rilanciò la via cinese all’economia di mercato (quello stesso anno a Pechino aprì il primo McDonald’s). Oggi la Cina è ricca, nonostante un enorme divario tra la popolazione delle città e delle campagne. Tanto ricca da sprecare il cibo. Finiscono ogni anno nella spazzatura prodotti alimentari per un valore di 200 miliardi di yuan (quasi 30 miliardi di euro) che basterebbero a sfamare 200 milioni di poveri per dodici mesi, dicono gli esperti dell’Università di agricoltura di Pechino.
Il presidente Xi Jinping, entrato in carica due anni fa, ha subito affrontato il problema. Con un doppio obiettivo di moralizzazione: ridurre gli sprechi e rimettere in riga l’esercito di funzionari corrotti. Xi ha ordinato ai burocrati del partito-Stato di tornare alla frugalità dei padri e dare un taglio alla «stravaganza» degli interminabili banchetti ufficiali che costano denaro pubblico e occupano il tempo che andrebbe dedicato al servizio del popolo. Servono idee originali per cambiare abitudini radicate, ha detto il ministro del Commercio Chen Deming. E alcune le ha lanciate lui: esporre di fronte ai ristoranti manifesti con slogan contro lo spreco; utilizzare piatti più piccoli (che nell’Italia di qualche tempo fa chiamavamo «mezze porzioni»); scrivere sul menù quantità o peso degli ingredienti.
Per dare il buon esempio, a dicembre dell’anno scorso, Xi Jinping è andato in un fast-food pechinese della catena Qingfeng. L’uomo più potente della Cina, il moderno imperatore, si è messo in fila e ha ordinato al banco: «baozi», ravioloni ripieni di carne di maiale e porro (ne ha mangiati sei), zuppa di fegato fritto con le cipolle, verdure. Ha preso il suo vassoio e si è seduto a un tavolo di formica, senza tovaglia. In rete sono finite decine di foto, scattate con i telefonini dai cinesi normali. In tutto il presidente ha speso 21 yuan, tre euro. Il locale da allora ha un successo travolgente, c’è la fila di fuori. Il cibo in Cina non è solo una straordinaria cultura, è anche politica.