P. T., Il Messaggero 23/11/2014, 23 novembre 2014
«I MIEI CONCITTADINI SI STANNO ROVINANDO» CAPRI DICHIARA GUERRA ALLE SLOT MACHINE
Si chiama Antonio, ha 62 anni e fa il muratore e lo stuccatore. È tra i pochi che lavora tutto l’anno. Perché passata la bella stagione, Capri si svuota, chiude per ferie e qui le ferie sono lunghe assai: da Capodanno a Pasqua. E buonanotte ai visitatori. In giro ci sono solo giornalieri che fanno base a Sorrento. Gli alberghi sono chiusi o stanno per chiudere, i ristoranti sono ridotti al minimo sindacale. Si vedono americani sfusi, gruppetti con gli occhi a mandorla e gli operai che arrivano con la prima nave da Napoli. Antonio, invece, è di Anacapri, indigeno. Un berretto celeste e il dito frenetico sui tasti di una slot machine. Non ci sono più le leve da abbassare, come nei film d’antan.
LA ”MALATTIA”
Da tempo, si preme un pulsante. Start: sembra l’inizio, ma è la fine. Si chiama ludopatia che in tutto il mondo, ma ad Anacapri soprattutto, si traduce in debiti. «Ma io gioco appena pochi euro» confessa Antonio, beccato in uno dei bar più frequentati dagli anacapresi ammalati di gioco. In una saletta appartata c’è uno stretto separé. Divide le cinque macchine da uno spazio dove tre tavolini si fanno largo tra scatole di birra artigianale. «Billy Bones» (con ossa e teschi di pirati), «Fun Fair» (che rimanda ai circhi) e poi «Atlantis» e «Incas» (che non bisogna spiegare) e l’occhio viene ipnotizzato dal terzetto di simboli che non si allinea. «Vengo qui con gli amici» continua il muratore. Come per una briscola? «Macché, noi vogliamo vincere. Qualche volta sono riuscito a portare a casa pure mille euro». Bravo. «Ma a colpi di venti euro alla volta, tanto gioco, le slot se li sono ripresi di nuovo». Mentre parla e gioca, entra una donna. Poggia le buste della spesa sotto il sediolino alto, cambia le banconote in monete e parte per il mondo di Jack Sparrow, appena un cenno di saluto ad Antonio. Mentre la slot si abboffa, lei mugugna. Non si capisce se è piacere o dolore. «Vede» sussurra l’uomo «è la tipica fissata. Gente come lei è capace di giocarsi mille euro in due ore». Proprio lei? «Non lo so, ma molte casalinghe hanno costretto i mariti a indebitarsi. E c’è pure chi ha divorziato. Meno male che si avvicina Natale e sfogheranno con la tombola e il sette e mezzo, puntando centesimi». I racconti sulla malattia del gioco che affligge capresi e anacapresi sono dettagliati, ma sempre anonimi. Qui sono tutti parenti o amici e se fai i nomi sei bollato come un delatore. Sciarra a morte.
Ora però sulla sciagura dell’azzardo si sta abbattendo la mannaia di un referendum che il sindaco di Anacapri, Franco Cerrota, vuole fare da qui a qualche mese per allontanare le slot machine dai luoghi sensibili di almeno 150 metri. Lontano dalle scuole, dalle chiese e persino dagli stabilimenti balneari. In pratica, se passa, per giocare si dovrà andare al faro, neanche alla Grotta Azzurra, la grotta proprio, non il bar omonimo, perché, laggiù, ci sono stabilimenti. Si stanno approntando i regolamenti della consultazione che, a sentire in giro, sbancherà, farà bingo, perché tutti sono contro il demonio della tassa sui sogni, legale, certo, ma sfasciafamiglie. «Conosco figli che vanno a ritirare le pensioni dei padri» aggiunge Luigi, l’amico ritrovato di Antonio «perché altrimenti quelli tra la Posta e casa, se la sputtanano tutta alle macchinette». Le cifre sono da capogiro. Ogni slot installata nell’isola azzurra inghiotte 600 euro al giorno, contro la media nazionale di 250. Solo ad Anacapri ne sono state censite 32. Nel resto dell’isola ce n’è un’altra quarantina, dove ci sono slot con puntata minima di 20 euro, contro il regolare euro singolo. Se siete bravi in moltiplicazioni avrete già capito che massa di soldi si muove.