Gian Micalessin, Il Giornale 23/11/2014, 23 novembre 2014
DA PARADISO A INFERNO LA PAURA DEL CONTAGIO, LA VIOLENZA INTEGRALISTA, LA FUGA DEGLI ITALIANI COSÌ IL PAESE HA FINITO DI VIVERE
Il terrore di Ebola l’ha svuotata, ma ora la rabbia figlia di una crisi repentina e di una povertà inaspettata rischiano di distruggerla. Da qualche mese anche Malindi, il «buon ritiro» keniota seconda patria per seimila italiani rischia di trasformarsi in un paradiso perduto. In quest’angolo d’Africa tricolore l’addio alla dolce vita non è soltanto conseguenza del terrorismo islamico o dalla violenza criminale. Qui, a sentir gli italiani, la prima ragione della grande crisi è, più banalmente, la paura per il contagio che ha seminato morte sulle coste occidentali, dall’altra parte dell’Africa. Un panico forse irrazionale vista la lontananza dal contagio, ma che ha convinto molti nostri connazionali a starsene alla larga. «Con la fine di agosto le presenze sono praticamente crollate. Un anno fa Watamu, uno dei villaggi con le spiagge più belle a trenta chilometri da Malindi, era una delle località più richieste, non ci trovavi posto manco morto. Ci sono andato a novembre e mi sono ritrovato da solo, l’80 per cento del mio "resort" era tristemente vuoto» racconta Gianfranco Ranieri, 61 anni, fondatore e animatore di Karibuni, una organizzazione no-profit che da dieci anni si sforza di creare opportunità e posti di lavoro anche ai kenyoti rimaste esclusi dal «grande affare» turistico. La scomparsa del «grande affare» sta, però, innescando un effetto a catena capace di cancellare la magia di Malindi e azzerare non solo le presenze, ma anche gli investimenti degli italiani. «A Malindi e dintorni in questo momento saremo rimasti, a dir tanto, un migliaio - spiega Ranieri - chi è scappato, o non è venuto per paura di Ebola, teme ora le conseguenze della propria assenza. L’improvvisa scomparsa di noi italiani sta generando violenza, rabbia ed esasperazione. Qui ogni italiano dava da vivere ad almeno cinque o sei famiglie e quindi qualche decina di migliaia di famiglie africane, abituate a standard di vita elevati rispetto alla media, si ritrova praticamente a zero».
Così, seppur per ragioni diverse da Lamu, la regione turistica al confine con la Somalia infiltrata dalle bande alqaidiste degli shaabab, anche la «piccola Italia» di Malindi fa i conti con violenze e brutalità senza precedenti. «A novembre per la prima volta dopo dieci anni in Kenya ho avuto paura - ricorda Ranieri - É iniziato tutto con l’uccisione di un bajiji, uno di quei mototaxi per turisti. Li ammazzano per rubargli la moto, rivenderla e guadagnarci qualche centinaio di dollari. Ma questo era molto conosciuto e soprattutto era il decimo bajiji ucciso in poche settimane. Quando hanno arrestato i presunti colpevoli mi sono trovato in una città assediata, tra fumi di pneumatici bruciati e folle infuriate decise ad assaltare la centrale di polizia per far giustizia sommaria. Nei loro occhi leggevo solo rabbia ed odio. Mi chiedevo cosa li trattenesse dall’attaccare le nostre auto o quel nostro resort semi deserto. Noi italiani, scomparsi all’improvviso dopo anni di presenza consolidata, rischiamo in questa situazione di diventare i capri espiatori per le loro sfortune».
Ma dietro l’ondata di violenza divampata in una regione risparmiata, fin pochi mesi fa, dalla violenza criminale e dalle scorribande degli shaabab qualcuno intravvede anche motivi squisitamente politici, legati allo scontro tra il presidente Uhru Kenyatta, al potere dal 2013, e il premier Raila Odinga. Secondo una fonte de Il Giornale a Malindi dietro l’inerzia della polizia e l’assenza dell’esercito, mandato invece a pattugliare le zone di Lamu più a nord, vi potrebbe essere il tentativo di creare malcontento e rabbia in una zona considerata il principale bacino di consensi di Odinga. Non a caso qualche italiano di Malindi ha deciso di rivolgersi direttamente al Presidente. E chiedere l’invio già a dicembre dell’esercito. Per salvare almeno le vacanze di Natale.