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 2014  novembre 23 Domenica calendario

STRONCARE SE STESSI

È sconcertante la leggerezza con cui lo scrittore Paolo Di Paolo ha pensato bene di recensire, sul «Fatto quotidiano», la nuova edizione della biografia di Indro Montanelli firmata da Sandro Gerbi e Raffaele Liucci per le edizioni Hoepli. La recensione – una stroncatura: il che, ovviamente, è cosa del tutto legittima – si fonda su argomenti quasi imbarazzanti per la loro pochezza intellettuale. E che rischiano di dirla lunga, più che sul valore del libro recensito, sull’autorevolezza del recensore. In effetti, di là dai meriti (che sono molti) e dai limiti (che sono pochi) del libro di Gerbi e Liucci, che cosa pensare mai di un critico il quale, scrivendo nella forma di una lettera aperta a Montanelli, rimprovera i biografi perché «provano a ridurre ogni tua azione a un rapporto di causa ed effetto»? Da quando il nesso di causalità, tanto indagato dai filosofi, è anatema per un’opera di storici? E che cosa pensare della critica più insistita dello stroncatore, secondo cui, «caro Indro», «i tuoi biografi non sono empatici, né simpatici»? Da quando l’empatia (forse, in assoluto, la parola più abusata nell’italiano pseudo-colto d’oggidì) e la simpatia degli autori valgono come criteri per misurare la qualità di un libro di storia? Eppure Di Paolo persiste e firma: «Rimane inspiegabile perché i due autori abbiano prestato tanta e duratura attenzione a un personaggio che sembrano non amare». Così, evidentemente, Gerbi e Liucci hanno avuto vita fin troppo facile nel replicare: «Forse che per scrivere una biografia di Hitler occorrerebbe provare simpatia per il Führer?». Quel che davvero rimane inspiegabile, in realtà, è come Paolo Di Paolo possa non distinguere i requisiti di un buon lavoro di ricerca storica da quelli di un buon lavoro di immaginazione letteraria. Sempre che fosse buono – per dire – il suo romanzo dell’anno scorso su Piero Gobetti, che lo ha fatto assurgere ai fasti di finalista del Premio Strega. Altro segno dei tempi. Ennesima prova della rinuncia corrente a distinguere, in quanto resta del nostro "dibattito" culturale, il peso specifico di un libro o di un altro.
Sergio Luzzatto, Domenicale – Il Sole 24 Ore 23/11/2014