Domenicale – Il Sole 24 Ore 23/11/2014, 23 novembre 2014
IL CARCERE COME «EXTREMA RATIO»
Il Comitato etico della Fondazione Umberto Veronesi è un “advisory group” composto da eminenti personalità provenienti da ambiti diversi, che guida le scelte etiche della Fondazione ed è il portavoce ufficiale di riflessioni in materia di etica e di bioetica che si concretizzano in documenti e pareri (vedi: fondazioneveronesi.it/la-fondazione/i-comitati/comitato-etico).
In occasione dell’anniversario dei 250 anni dalla pubblicazione dell’opera di Cesare Beccaria Dei Delitti e delle Pene che ricorre quest’anno e, alla luce della recente condanna ricevuta dalla Corte Europea di Strasburgo per il trattamento inumano e degradante all’interno delle carceri del nostro Paese, il Comitato ha reputato urgente affrontare e trattare il tema delle carceri e del sistema sanzionatorio penale. «Ripensare il sistema sanzionatorio penale» è il documento elaborato da Paola Severino e Antonio Gullo con la collaborazione di Cinzia Caporale approvato dal Comitato etico lo scorso 6 novembre che qui pubblichiamo.
Scopo del documento è tracciare un percorso a più tappe per una possibile riforma del sistema sanzionatorio penale con un ampliamento di misure alternative al carcere.
Su proposta del Prof. Umberto Veronesi, il Comitato Etico affronta l’ampia e importante tematica dello stato della Giustizia in Italia. Verranno analizzati alcuni aspetti relativi all’andamento dell’amministrazione della Giustizia, alle condizioni delle carceri e alle modalità di custodia, alla razionalizzazione ed efficienza degli uffici e dei servizi, nonché agli interventi e strumenti che, opportunamente individuati e adottati, potrebbero garantire concreti miglioramenti del sistema, essenziali e urgenti per la corretta tutela dei diritti, soprattutto di quelli delle persone più vulnerabili.
L’approfondimento dei punti di maggiore criticità verrà articolato in diversi documenti, il primo dei quali è dedicato al sistema sanzionatorio penale.
DIRITTO PENALE E CARCERE COME ULTIMA RATIO
Ripensare il sistema sanzionatorio penale è un tema da tempo al centro del dibattito scientifico. Negli ultimi anni è finalmente divenuto anche un impegno nell’agenda del legislatore. Una decisiva spinta al processo riformatore è venuta dalla Sentenza "Torreggiani" della Corte europea dei diritti dell’uomo che, condannando l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali – disposizione che vieta la tortura e i trattamenti inumani o degradanti –, ha imposto all’attenzione pubblica la necessità di rivedere l’attuale sistema penale.
L’esigenza di assicurare il rispetto della dignità della persona nella fase di esecuzione della pena impone infatti una riflessione che si indirizzi verso il sistema penitenziario ma, ancor prima, sull’analisi degli spazi che, in un diritto penale moderno, dovrebbero essere riservati alla reclusione in carcere.
L’idea del diritto penale come extrema ratio di tutela riporta non solo alla necessità che l’arma tagliente della pena sia utilizzata, in ossequio al principio di sussidiarietà, esclusivamente laddove non vi siano alternative parimenti efficaci e meno onerose per l’individuo, ma, al contempo, è un’idea che dovrebbe permeare la scelta del legislatore nella selezione di quale strumento vada impiegato all’interno dell’arsenale sanzionatorio penale. Non solo dunque il diritto penale, ma ancor prima la stessa reclusione in carcere, e in generale la risposta detentiva, devono rappresentare l’ultima ratio.
RAGIONARE DI ALTERNATIVE AL CARCERE
Nello scorcio della passata legislatura e già nella fase di avvio dell’attuale, si è registrata una prima inversione di rotta nelle scelte di politica criminale, iniziandosi a gettare le basi per un nuovo assetto complessivo.
L’opportunità di limitare il ricorso alla reclusione in carcere non è stata più confinata alla fase di esecuzione della pena – come normalmente proprio delle misure alternative alla detenzione – o comunque alla fase della irrogazione della pena, ma secondo la logica delle sanzioni sostitutive. Per la prima volta, ci si è confrontati con la possibilità di prevedere come pena principale – in luogo o accanto alla reclusione in carcere – la detenzione domiciliare. Nella primavera del 2014, un faticoso percorso parlamentare ha portato finalmente all’approvazione di una legge delega che nei suoi principi e criteri direttivi si mostra sensibile all’esigenza di un ampliamento del catalogo delle pene principali.
Reclusione e arresto domiciliari fanno la loro apparizione appunto tra le pene principali – con la possibilità dunque di essere applicate dal giudice della cognizione – secondo un meccanismo che per i reati di modesta gravità (che prevedono la reclusione o l’arresto fino a tre anni) vede l’automatica sostituzione del carcere con la detenzione domiciliare, mentre per i reati di maggiore rilevanza (puniti con la reclusione fino a cinque anni) affida al giudice la mediazione, caso per caso, tra le due opzioni. Inizia così a prendere corpo un sistema penale che non ha più il carcere come fulcro ma che, per i casi di minore impatto lesivo, prevede una risposta non carceraria e che anche per reati più gravi contempla la possibilità di evitare l’ingresso della persona in carcere.
LE PROSPETTIVE E LE ATTESE
Quali sono le caratteristiche dell’impianto normativo prefigurato dal legislatore e quali le sfide presenti e future? Deve sicuramente riconoscersi come il recente intervento abbia segnato un’importante frattura con il passato, rivestendo anche una funzione simbolica non trascurabile. In un’epoca spesso dominata da logiche che privilegiano in modo assoluto la tutela della sicurezza e da un uso talvolta ‘muscolare’ del diritto penale – non sempre poi accompagnato dall’effettivo raggiungimento degli obiettivi prefissati – il legislatore ha iniziato a percorrere una strada diversa: quella di non limitarsi ad agire sul terreno del confine tra lecito e illecito o tra diritto penale e altre modalità punitive, ma di iniziare a tracciare all’interno del sistema sanzionatorio penale ambiti in cui, in linea di massima, non debba più essere prevista la reclusione in carcere. Sforzo dunque di particolare significato che al momento prevede, come forse è tipico in una fase di cambiamento, la detenzione domiciliare come unica alternativa al carcere. Certamente una sanzione meno afflittiva del carcere, ma pur sempre privativa della libertà personale. Un primo problema è dunque legato all’esclusività dell’alternativa al carcere che il giudice può applicare come pena. Problema che si può presentare di particolare rilievo ogniqualvolta il condannato non disponga di un domicilio ove questa possa essere eseguita. Sotto questo profilo, la detenzione domiciliare si può rivelare in alcuni casi una pena a forte tasso di diseguaglianza, originando forme di disparità di trattamento basate su differenze sociali. Una prima sfida dovrebbe essere dunque quella, in linea con le indicazioni affiorate nel dibattito scientifico, di individuare soluzioni che consentano l’effettivo ricorso a tale misura, in luogo del carcere, anche per coloro che non abbiano un domicilio (o che non possano concretamente utilizzarlo).
Una seconda sfida aperta è quella di riempire la detenzione domiciliare di contenuti risocializzanti. Assicurare dunque, durante l’espiazione della pena nelle modalità della detenzione domiciliare – in presenza naturalmente di un giudizio di non pericolosità del soggetto –, la possibilità di svolgere le attività – in primo luogo quella lavorativa – che, come dimostrato dagli studi condotti negli ultimi anni sui rapporti tra lavoro in carcere e recidiva, rappresentano la più efficace garanzia di recupero alla società dell’individuo. Recenti studi dimostrano difatti, sulla base dei primi dati resi noti, che modalità di esecuzione della pena contraddistinte da una forte connotazione risocializzante – e dunque con possibilità di studio, lavoro, formazione professionale per i detenuti – determinano un’importante riduzione dei tassi di recidiva nella popolazione carceraria. Un’ulteriore sfida è più impegnativa, ma sicuramente più significativa per le sorti future del nostro sistema sanzionatorio penale: si tratterebbe di proseguire con coraggio nella via intrapresa, aggiungendo alla detenzione domiciliare ulteriori tasselli che concorrano a disegnare il quadro di un nuovo e moderno sistema sanzionatorio penale. All’importante messaggio che il carcere deve essere l’extrema ratio, oramai lanciato dai recenti interventi di riforma, deve affiancarsi anche quello che l’alternativa al carcere non può essere unicamente la detenzione domiciliare.
Si deve invece diffondere la consapevolezza che, all’interno di quell’area che in prospettiva si può precludere al carcere, vi dovrebbe essere spazio per sanzioni anche altre rispetto alla detenzione domiciliare, tutte le volte in cui il giudizio positivo sul futuro comportamento del condannato consenta di non percorrere la via detentiva o comunque siano prospettabili strumenti altrettanto efficaci. L’attuale riforma del sistema sanzionatorio penale impone di gettare lo sguardo al di là dell’orizzonte che essa dischiude, riavviando il confronto sulla possibilità di prevedere ancora nuove tipologie sanzionatorie come pene principali: lavoro di pubblica utilità e affidamento in prova al servizio sociale da un lato, pene interdittive dall’altro. I tempi sono oramai maturi per compiere un ulteriore passo verso l’abbandono di una idea ‘corporale’ della sanzione – in tutti i casi in cui essa non risponda ad una stretta necessità e, talora, anche a una logica di reale efficacia – a favore di una più articolata gamma di sanzioni che sappiano offrire adeguata risposta al reato commesso e sappiano al contempo meglio coniugare la componente afflittiva della pena con contenuti risocializzanti. La compiuta attuazione di questo disegno passa poi attraverso il ruolo del giudice nei casi di previsione alternativa di pene o laddove la pena si colori di contenuti risocializzanti. In tali casi sarà necessario equilibrio e capacità da parte del giudice nella ‘gestione’ delle nuove sanzioni, così come rimarrà centrale in sede di esecuzione della pena la figura del giudice di sorveglianza, rispetto a cui oramai da tempo si discute circa l’opportunità di una sempre maggiore specializzazione nonché di un rafforzamento anche sotto il profilo organizzativo.
I recenti segnali lanciati dal legislatore sul versante delle sanzioni sembrano aprire alla possibilità di edificare nel tempo, con un processo certo a più tappe, un nuovo sistema sanzionatorio penale.
CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI
La costruzione di un nuovo sistema sanzionatorio penale è un obiettivo della massima importanza e largamente atteso. Un’occasione da non lasciarsi sfuggire a beneficio del sistema della Giustizia nel suo complesso e soprattutto dei diritti di tutte le persone. Tenuto conto del dibattito sul tema e dei recenti progetti e interventi di riforma, il Comitato auspica la più ampia e sollecita discussione sulle diverse problematiche e raccomanda:
1. che si prosegua nel processo di equilibrata decarcerizzazione;
2. fermo restando il carattere del carcere come extrema ratio, che vengano individuate, per le fasce di reati non interessate dalla reclusione in carcere, ulteriori alternative rispetto alla sola detenzione domiciliare;
3. che si inseriscano nel catalogo delle pene principali anche pene a contenuto prescrittivo o interdittivo;
4. che si rafforzino per tutte le tipologie di pene a contenuto detentivo le componenti risocializzanti, in primo luogo lo svolgimento di attività lavorative;
5. che il dibattito coinvolga per quanto possibile l’opinione pubblica sul valore etico e sui principi che sostengono la riforma del sistema sanzionatorio penale nonché sugli aspetti fondamentali della stessa.
Domenicale – Il Sole 24 Ore 23/11/2014