Pieremilio Gadda, CorriereEconomia 24/11/2014, 24 novembre 2014
ORO UN «SÌ» DELLA SVIZZERA PUÒ FARLO RISALIRE DEL 15%
Dopo una perdita di valore del 40% in poco più di tre anni, nessuno potrà più chiamarlo bene rifugio. Almeno per un po’. Ma da inizio novembre, l’oro ha interrotto la violenta fase discendente iniziata nel 2012, per guadagnare qualche punto percentuale in poche settimane. Merito di un referendum di iniziativa popolare promosso in Svizzera da alcuni membri del partito conservatore Unione democratica di centro e fissato per il prossimo 30 novembre.
La storia
L’esito del voto, secondo i sondaggi, è incerto. Ma in caso di vittoria dei sì, le conseguenze sul prezzo dell’oro saranno inevitabili: la Banca nazionale svizzera (Bns) guidata dal presidente Thomas Jordan sarebbe obbligata a detenere in oro, tassativamente entro i confini della nazione, almeno il 20% delle proprie riserve, con il divieto di venderne qualsiasi quantità in futuro. Dato che la Bns possiede 1.040 tonnellate d’oro, pari al 7,5% delle riserve totali, «a conti fatti ne dovrebbe acquistare almeno altre 1.600 tonnellate in cinque anni. Poco meno di una tonnellata al giorno, per un controvalore di 50 miliardi di euro nel quinquennio», calcola Carlo Alberto De Casa, analista dei mercati valutari per ActiveTrades. Un sforzo enorme se si calcola che la produzione annua di oro si aggira attorno a 3.000 tonnellate su scala globale e il Pil della Confederazione vale poco più di 520 miliardi di euro. Con una vittoria dei sì, alcuni analisti stimano che le quotazioni possano rapidamente toccare i 1.350 dollari l’oncia, equivalente a un guadagno di circa 15 punti percentuali rispetto ai valori attuali. «È significativo osservare che in questo momento il Gofo a uno e sei mesi (Gold offered forward rate, il tasso di sconto al quale gli operatori prestano l’oro in cambio di dollari americani ndr ) è negativo. Vuol dire che c’è una certa apprensione per la disponibilità a breve di oro», osserva Michael Palatiello, amministratore delegato e strategist di Wings Partners.
Acquirenti forti
Palatiello ricorda che a settembre la Russia ha comprato oro per un milione e duecentomila once, come non accadeva da 15 anni. A ottobre, l’India ha incrementato gli acquisti del 280% rispetto al mese precedente. E c’è chi, come Yves Mersch, membro lussemburghese del Comitato esecutivo della Banca centrale europea, di recente ha fatto esplicito riferimento all’oro come uno degli asset che Francoforte potrebbe acquistare nell’ambito di un programma di allentamento monetario su larga scala.
Anche in caso di vittoria dei no, del resto, gli esperti giudicano improbabile una prosecuzione del lungo trend ribassista per il metallo giallo. «Il costo di estrazione dell’oro è salito molto nel corso degli ultimi anni, fino a collocarsi, in media, attorno ai 1.100 dollari — ricorda De Casa —. Il prezzo attuale è vicino ai 1.180 dollari l’oncia e sotto quota 1.200 molte aziende del settore estrattivo sono in perdita».
I risultati del referendum potrebbero avere ricadute non trascurabili anche sul franco. Il 6 settembre 2011, in piena crisi dei debiti europei, la Banca centrale elvetica fissò a 1,20 il tetto del cambio contro l’euro, per evitare un eccessivo rafforzamento. Per difendere questo obiettivo ha dovuto acquistare ingenti quantità di euro, immettendo liquidità. Non è un caso se tra il dicembre del 2011 e la fine dell’anno successivo le riserve in valuta estera nel bilancio della Bns sono quasi raddoppiate, passando da 257 a 432 miliardi di franchi. «In caso di vittoria dei sì, la banca svizzera dovrebbe pagare in dollari l’enorme quantità di oro in acquisto e ad essere sacrificata potrebbe essere una parte delle riserve in euro», spiega De Casa.
Nel corso dell’ultima settimana, i mercati sono tornati a testare la determinazione della Bns nel difendere il tetto di 1,20, costringendo la Banca centrale a intervenire nuovamente. Si teme l’innesco di un pericoloso circolo vizioso sul quale l’autorità monetaria rischierebbe di perdere il controllo. E di fronte a questo scenario, qualche analista inizia a dubitare che l’autorità monetaria possa essere in grado di difendere il cambio da un ulteriore apprezzamento.