Sergio Romano, Corriere della Sera 23/11/2014, 23 novembre 2014
L’EPOPEA DELLA BANDEIRA ALLE ORIGINI DEL BRASILE
Ma chi erano i «bandeirantes» brasiliani
da lei più volte citati nella sua risposta su Hemingway a Parigi?
Carla Scotti
Monza
Cara Signora,
Rispondo con la definizione che ne ha dato un eccellente conoscitore dell’America Latina, Ludovico Incisa di Camerana, in un libro pubblicato dall’editore Corbaccio dieci anni fa ( I caudillos. Biografia di un continente ). Nelle parole di Incisa, il bandeirante è «il comandante della bandeira, una compagnia che si addentra nell’interno in cerca di miniere d’oro e di preziosi, nonché di manodopera india da trarre in schiavitù. Nasce a San Paolo, nel Sud del Brasile coloniale prima della fine del secolo XVI. (…) Diventerà così numerosa e complessa da meritare la definizione di città in marcia, di “nazione nomade, solidamente organizzata su una base autocratica e guerriera”. Del suo apparato fanno parte cappellani, scrivani, ossia funzionari, ufficiali di polizia e di giustizia».
La bandeira, quindi, è un gruppo organizzato, con regole, codici, misure disciplinari, ma è anche una formazione anarchica e ribelle che sfida il potere di Lisbona e non attende licenze o Carte reali per conquistare territori, sfruttare ricchezze naturali, praticare la tratta degli schiavi. E’ questo probabilmente che rende il Brasile così profondamente diverso dai Paesi latino-americani di lingua spagnola. Mentre questi discendono generalmente da un conquistador (Cortés in Messico, Pizarro in Perù, Belalcázar in Ecuador, Ribera in Cile, per non parlare di quelli che colonizzarono il territorio nord-americano), nel grande albero genealogico del Brasile vi sono anche e soprattutto i bandeirantes. Mentre i conquistadores sono in ultima analisi uomini dello Stato spagnolo e diverranno spesso viceré delle province conquistate, i bandeirantes sono avventurieri, predoni, pirati e corsari degli enormi spazi che si estendono alle spalle di San Paolo, sempre alla ricerca di nuove terre e nuove ricchezze.
Non esistono, all’interno della bandeira, le distinzioni etniche e religiose che caratterizzano la dominazione spagnola. Il capo esercita un potere assoluto, ma è eletto democraticamente. Gli europei (portoghesi, ma anche spagnoli, francesi, italiani, inglesi) hanno già fatto altre esperienze e conoscono spesso il mestiere delle armi, ma non hanno pregiudizi razziali e vivono in piena comunione con indios e africani. Nella bandeira vige di fatto la poligamia, la prole è numerosa e, come scrive Incisa, «nei testamenti, ai figli legittimi si aggiungono lunghe liste di figli naturali, niente affatto nascosti».
Tutto questo non sarebbe accaduto se Lisbona avesse governato la proprie colonie americane con l’autorità e la filosofia amministrativa dello Stato spagnolo. Ma la lontananza e la relativa debolezza della casa madre hanno avuto effetti paradossali: la bandeira ha regalato alla più piccola delle grandi potenze coloniali europee il più grande Stato sorto a sud del Rio Grande e un modello di convivenza etnica e religiosa.