Gian Luigi Paracchini, Corriere della Sera 23/11/2014, 23 novembre 2014
QUELLA FELPA BIPARTISAN CHE HA ROTTAMATO IL LODEN
Nell’antico, irrisolto interrogativo su che cosa sia di destra o di sinistra, anni fa Giorgio Gaber ci ha regalato una irresistibile canzone-catalogo diventata pietra miliare. Anche per l’abbigliamento. Dei jeans per esempio conveniva scherzosamente che pur essendo di sinistra «con la giacca vanno verso destra». Mentre le scarpe da tennis e del loro gusto un po’ di destra, portate «tutte sporche e un po’ slacciate/è da scemi più che di sinistra».
Pensiamo a Gaber perché ci piacerebbe avere lumi su un altro capo diventato improvvisamente popolare anche in politica: la felpa è di destra o di sinistra?
L’interrogativo si è imposto perché nei rispettivi tour diversamente antigovernativi, il leader leghista Matteo Salvini, che ha un occhio al post-Berlusconi, e il segretario della Fiom Maurizio Landini, per molti futuro conducator della sinistra, sono apparsi orgogliosamente infelpati. Certo, con dettagli diversi. Matteo, che non è mai stato tentato (nemmeno in stagione favorevole) dalla canotta celebrata da Umberto Bossi, varia sulle tonalità (non necessariamente verdi) e sulle scritte geopolitiche. La più praticata è quella con «Milano» ma se deve andare a Bologna e dintorni ne spunta d’incanto una con la scritta «Emilia». Quando ai Parioli ha inaugurato la cellula leghista, la gente non credeva ai propri occhi ma sul suo petto si leggeva «Roma». L’ultima, andando da Casadei, recitava «Roma-gna» e quella maliziosa separazione è parsa rinverdire gli slogan sulla capitale magnona, ma non ci sono prove. Se il giro è lungo e il suo staff potrebbe sbagliare, non c’è problema: lui propende per quella con «Basta Euro», che va su tutto. Più semplici e radicate le scelte di Landini: una serie rosso fuoco e in bianco la macro-sigla Fiom per ora, poi vedremo. Strategia stilistica accordata? Macché, parliamo pur sempre d’un capo visto addosso ad atleti sudati e poi assurto a must di adolescenti e padri giovanilisti. In ogni caso da ora un capo ufficialmente trasversale: la felpa bipartisan. Il che conferma come la politica di oggi non offra certezze nemmeno nel look dei protagonisti: eravamo decisamente abituati a programmi e pure a guardaroba meno osmotici.
Qualcuno ha dimenticato, partendo da sinistra, l’eskimo anni 60 di Mario Capanna, con megafono alla mano, in testa ai cortei? L’eskimo (comodo il cappuccio anti-idranti), feticcio della sinistra ma con effetto urticante per gli altri. E le giacche vellutate di Fausto Bertinotti con portaocchiali in cuoio sulla cravatta? Resta il meglio dandismo di ogni talk-show politico, esempio insuperato ed esclusivo di gauche-cashmere.
Anche la destra ha evitato confusioni se pensiamo al girocollo nero sottogiacca di Silvio Berlusconi, immancabile allo stadio e nei bagni di folla d’antan: mai che dall’altra parte qualcuno si sia sognato di copiarlo. Idem per Roberto Formigoni versione surfer, che non ha trovato rivali in giacche arancio-calypso e camicie post-hawaiiane, anche se la sua onda anomala ha portato il Pdl a sbattere sugli scogli.
Sembrano invece quasi dissolte nel vento le poche tracce lasciate dal loden, inteso come sobrio simbolo centrista della discesa in campo di Mario Monti: negletto in modo inequivocabile sia da destra sia da sinistra. Si potrebbe filosofeggiare sul fatto che il capo bipartisan (almeno dell’opposizione) sia tutto sommato modesto anche se pop. Ma che questo non fosse un momento da papillon era già cosa nota.