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 2014  novembre 22 Sabato calendario

UN GIUDICE DA FESTIVAL

Portare i fan in studio di registrazione. Non con dei video postati su Twitter o Facebook. Anche in quel modo si offre un assaggio del dietro le quinte, ma Giovanni Allevi i fan li porta in studio fisicamente.
Il pianista e compositore sta incidendo il suo nuovo album «Love» al Sae institute di Milano, un college sulla produzione audio-video all’avanguardia in Europa. Il disco, che esce il 20 gennaio e che avrà l’anteprima live a Londra il 27 febbraio, segna il ritorno al pianoforte solo dopo le composizioni per violino e orchestra di «Sunrise». E 15 fan selezionati via web saranno in studio con lui domani. «Voglio renderli partecipi della registrazione. Manifesto così la mia gratitudine e condivido un’esperienza, un incontro vero e non solo la realtà virtuale dei social network».
«Love» parte dal privato, sin dal titolo del brano-manifesto «My Family». Come mai questa scelta intima?
«”My Family” è nata nel bilocale dove vivo a Milano una domenica in cui c’era una riunione di famiglia. C’era caos, anche un po’ di tensione, e ho sentito arrivarmi in testa una melodia. Sono andato nell’altra stanza ed è come se si fosse abbassato il volume delle voci e si fosse alzato quello della melodia».
Il suo piano sembra imitare dialoghi e voci...
«C’è un passaggio in cui evoco un bambino che lancia una pallina contro un vetro. Plin, plin... Con questo album esco dal minimalismo pianistico. Per me è stato importante, ma sentivo il rischio di ripetermi».
Quanto conta l’essere padre di due bimbi di 2 e 4 anni?
«Voglio comunicare un senso di tenerezza attraverso la musica. Mi spaventa questo mondo a tratti violento e per contrasto voglio creare sensazioni belle con la musica. La vita non è fatta solo di brutture».
Nell’album ci sarà anche un corale, ancora senza titolo...
«Volevo mettere assieme la sacralità di quella forma musicale con la ritmica del rock che interpreta lo spirito del tempo ed è qualcosa che mi sono tenuto dentro a lungo. L’intenzione è sempre quella di far dialogare passato e presente».
Bilocale a parte, come nasce la sua musica?
«In studio ci vado solo per la ricerca, quasi maniacale, del suono. La composizione invece nasce sempre lontano dallo studio e lontano anche dal pianoforte. Il primo approccio è sempre carta e matita. I software per la composizione non ti fanno ragionare sullo sviluppo orizzontale e verticale del discorso musicale sul pentagramma. È un insegnamento di Tonino Tesei, uno dei miei maestri e anche un maniaco della calligrafia musicale».
Carlo Conti l’ha chiamata nella commissione che sceglie le canzoni di Sanremo. Che le passa per le mani?
«Per ora sono concentrato sui Giovani. Mi hanno colpito per originalità e coraggio musicale. Nei testi poi non c’è più sole e cuore, ma la desolazione per la ricerca di un lavoro che non c’è, la solitudine di chi si sente a disagio negli happy hour. In fondo a tutti, però, sento uno slancio positivo come in certa letteratura americana alla John Fante. Ho un criterio: ascolto 50 canzoni al giorno senza dare giudizi. E il giorno dopo passano la prima selezione quelli che mi sono rimasti in mente per qualcosa».
Ci sarà molto rap. mondo lontano dal suo...
«Però lo conosco. Da Fabri Fibra a Rocco Hunt, passando per Caparezza e Jovanotti che è stato il mio primo contatto fuori dalla classica, è un codice di comunicazione acquisito dai giovani».
Lei a Sanremo è stato anche ospite, ma ai tempi del Conservatorio come lo vedeva?
«Era l’antiCristo, un elemento che tutti gli accademici vivono come lontano. Ho capito solo dopo che è nel nostro Dna, che è un momento di aggregazione collettiva».
Che tipo è Carlo Conti?
«Se lo merita. Ha fatto tanta gavetta, lo abbiamo visto tutti presentare al gelo i vari Capodanno su Rai1... Lo sento simile a me per la tenacia».
E lei che papà è?
«Giocherellone, silenzioso, sempre in ascolto. Li faccio giocare con musica e ritmi».
Faranno il Conservatorio?
«Subito in castigo? (ride) Se devo pensare a un’esperienza didattica spensierata mi vengono in mente le scuole media a indirizzo musicale».