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 2014  novembre 22 Sabato calendario

BONACCINI, IL FUNZIONARIO FEDELE IN CORSA CONTRO L’ASTENSIONE I PRODOTTI SUL PALCO DEL PD (NIENTE SIMBOLO, C’È IL PARMIGIANO)

DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA Stefano Bonaccini è uno di famiglia. Al punto che la sua gente potrebbe dimenticarsi di andare a votarlo, tanto è come se fosse già presidente. Il probabile governatore dell’Emilia-Romagna sembra fatto con lo stampino di questa terra. E lo rivendica. «Sono nato e cresciuto nella regione meglio governata d’Italia. Ho sentito i miei avversari che dicevano di voler ridare l’orgoglio agli abitanti, come se vivessero in una landa desolata. Prima di parlare a vanvera bisognerebbe conoscere la realtà delle cose».
In questo articolo non troverete battute, motti arguti e dichiarazioni roboanti. Bonaccini è come appare, di spalle larghe, squadrato. A un tavolino del bar Vertice, nome non casuale visto che si trova di fronte al palazzo della Regione, recita il suo programma come se sgranasse un rosario studiato chissà quante volte. «Modestamente mi sono fatto il fegato come quello di un’oca a mangiare in giro per circoli pd, sedi Arci, osterie, mense e tavole calde. Facciamo una sfida. Lei mi dice il nome di un Comune e io le dico il sindaco. Li conosco tutti, anche quelli di Forza Italia, Lega e M5S, che per fortuna sono pochi».
Ogni tanto gli occhi mandano lampi di ironia, addirittura divertimento a qualche battuta dell’interlocutore, come quando gli si chiede a che punto è la sua profonda amicizia con Matteo Richetti, il parlamentare iper renziano voglioso di rivincita in terra di infedeli bersaniani che si candidò all’insaputa di tutti e fece scoppiare la rivolta nel partitone emiliano che aveva trovato il punto di equilibrio nella scelta di Daniele Manca, il sindaco di Imola. Alle prese con la possibile implosione di quello che è pur sempre il granaio del Pd nazionale, Renzi chiese a Bonaccini, che a Roma si apprestava a diventare il responsabile dell’Organizzazione pd, il «sacrificio» di candidarsi nella sua regione.
L’attuale candidato non lo ammetterà manco sotto tortura, ma gli sarebbe piaciuto restare dov’era. Per uno che viene da Campogalliano, 8 mila abitanti nel cuore dell’Emilia rossa, che ha fatto l’assessore a Modena, i palazzi di Roma e il gioco grande della politica esercitano il fascino delle cose proibite. A quelli della sua razza non è mai andata bene appena fuori dalla cinta daziaria, i vecchi comunisti emiliani storicamente erano visti come «risorse» che era meglio restassero a casa loro, e oggi la tendenza non è certo cambiata.
«Io faccio quello che mi chiede il partito, sempre». La frase riassume la seconda delle doti che hanno fatto crescere, e molto, Bonaccini nella classifica personale di Renzi, che lo volle alla guida della sua campagna per le primarie del 2013. Il probabile presidente è un funzionario cresciuto nella disciplina di partito che ha continuato ad applicare anche dopo che la Ditta ha cambiato insegne e titolari. «Credo che di me apprezzi la solidità di chi non improvvisa e lo spirito di servizio. Tra noi ho l’impressione che ci sia anche un rapporto umano, ma ognuno con il suo ruolo. Per me la capacità di stare al proprio posto è una delle virtù di cui c’è più bisogno in questo Paese».
Non soddisfatto di quello che aveva combinato, Richetti, indagato per le presunte spese pazze della Regione, rivelò per via avvocatizia che anche il suo grandissimo amico Bonaccini godeva delle attenzioni della procura di Bologna, con gli stessi capi d’accusa rivolti a lui. I due giorni seguenti furono i peggiori della vita di Bonaccini, che solo grazie a una specie di corsia preferenziale venne ascoltato a tempo di record e prosciolto. «Ma io voglio davvero bene a Richetti. È solo che gli manca l’esperienza da amministratore, quella che ti permette di capire i problemi reali della gente».
E così il candidato riluttante si trova a combattere contro l’astensione. Un nemico invisibile come i Viet Cong nella giungla. Avversari, manco a parlarne, come sempre da queste parti. L’interesse di un voto più che scontato risiede nel numero di coloro che non andranno a votare, quelli al corrente sono pochi, e nella gara interna tra la Lega di Salvini e FI, forse il dato foriero di maggiori ricadute nazionali, almeno sul centrodestra. «Obama è stato eletto con il voto di metà della popolazione e nessuno dice che è dimezzato». Le mani avanti a stelle e strisce non nascondono il fatto che lunedì, nonostante la vittoria, potrebbe essere un giorno complicato. «Anche dentro il Pd c’è chi pensa al voto disgiunto, non contro di me ma per dare un segnale a Matteo. Non mi sembra intelligente. Io dormo bene lo stesso». Eppure Bonaccini, tifoso della Juventus e del Modena, centravanti fino in Promozione nonostante un’operazione al cuore da piccolo, non ha un compito facile. Arrivare dopo Vasco Errani, considerato come il migliore amministratore su piazza, potrebbe non risultare una passeggiata. L’innovazione nella continuità è un concetto che sfiora l’ossimoro, ma anche l’unica strada possibile. «Dobbiamo rinnovarci, magari rinunciando all’orgoglio del “piccolo è bello”». Anche Bonaccini avrebbe voglia di allargare i propri confini. «Non escludo di dare una mano a livello nazionale». Ma sempre al proprio posto e nel rispetto dei ruoli, si capisce.