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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

MAGNUS CARLSEN, GENIO E FREDDEZZA

Lo chiamano Mozart. Un soprannome che sarebbe piaciuto a Wladimir Nabokov, che degli scacchi, di cui si occupò perfino in un saggio, ebbe a dire che «le loro combinazioni sono simili a delle melodie. Mi sembra di sentire, per così dire, la musica delle varie mosse». Magnus Carlsen, delle definizioni altrui, poco si cura: a 24 anni ancora da compiere (è nato il 30 novembre 1990), gli importa soprattutto di continuare a dominare gli avversari e la storia, «perché so di essere il più forte del mondo, e quindi il mio lavoro è principalmente quello di sfruttare questo vantaggio naturale». Il norvegese è un fiore sbocciato precocissimo (e quindi l’accostamento con il genio austriaco veniva fin troppo facile...) che finirà per marcare un’epoca come è successo solo ai miti. Intanto, si è confermato campione iridato, battendo di nuovo l’indiano Anand, cui aveva sottratto la corona l’anno scorso: a Sochi, è finita 6.5 a 4.5 all’11a partita.
Peraltro, nella feroce applicazione con cui destruttura le certezze dei rivali, c’è poco di musicale. Per lui, infatti, «gli scacchi non sono un arte, ma piuttosto una guerra: io devo cercare di superare chi mi sta di fronte, di scegliere le mosse che possono fargli più male. Certo, qualche volta una partita può avere splendide sfumature artistiche, ma sinceramente non è il mio obiettivo». Un pensiero che lo avvicina molto a Garry Kasparov, il giocatore che ha cambiato le prospettive attorno a una scacchiera per 15 anni tra il 1985 e il 2000 e che poi è stato suo coach, finendo per nutrire un talento che secondo i voti di tutti finirà per sottrargli lo scettro di più grande di sempre. Pur con uno stile lontano come lo zenit e il nadir: «Garry era una persona attratta dai conflitti – dice Magnus – e quindi ingaggiava battaglie sanguinose. Io invece non li amo e quindi cerco di tenere l’avversario sotto controllo, sottomesso, senza mai cercare uno scontro diretto». Anand, che è stato campione del mondo dal 2000 al 2002 e poi dal 2007 al 2013, è finito stritolato: «Carlsen non ha commesso errori e io perciò ho dovuto prendere dei rischi, una strategia che non mi appartiene. E’ stato più bravo di me».
Magnus, del resto, se lo sente ripetere da quando aveva due anni e già componeva puzzle da 50 pezzi. A quattro, poi, si dilettava con le costruzioni dei Lego per ragazzi dai 10 ai 14 e a cinque cominciava a giocare a scacchi su suggerimento di papà Henrik: «All’inizio non mi piaceva, preferivo il salto con gli sci, poi quando ho cominciato a battere lui e mia sorella, mi sono convinto». Gran Maestro a 13 anni e 148 giorni, il terzo più giovane della storia, conosce a memoria capitali, bandiere e superficie di tutti gli stati del mondo. Insomma, una mente fuori dall’ordinario, tanto che nel 2007 dovette perfino difendersi dalle illazioni di un quotidiano nazionale in merito a una presunta sindrome autistica. Perché convivere con la genialità al diapason e l’idea di un’intelligenza da marziano a volte può diventare un peso difficile da sostenere: «Sì, può essere noioso sentire le considerazioni di chi pensa di trovarsi di fronte a qualcuno che non è normale. Io sono soltanto un ottimo giocatore di scacchi e poi per tutto il resto mi comporto come succede alle altre persone: mi piace il calcio, mi piace leggere, mi piacciono i fumetti di Paperino».
La forza di Magnus risiede nell’abilità di intuire sempre la mossa giusta, di «sentire» la posizione ideale sulla scacchiera di ogni pezzo: «Di solito, riesco a pensare a 15-20 mosse alla volta, ma alla fine il trucco è di valutare il posto giusto per la pedina dopo aver fatto tutti quei calcoli». Impiegherà pochissimo, perciò, a contare il milione di euro della vittoria, ma i soldi sono l’ultima delle sue preoccupazioni: «Io amo il gioco, non smetterei neppure se mi regalassero cento milioni. O forse sì: riparliamone tra dieci anni». Una freddezza glaciale, con qualche vezzo a renderlo umano: «Al Mondiale dell’anno scorso, ho rifiutato un autografo a un ragazzino perché lo voleva firmato sul libro della finale del 1960 tra Tal e Botvinnik: Tal vinse, ma aveva 23 anni come me e da allora non fu più in grado di ripetersi. E poi non riutilizzo mai le penne con le quali ho perso un incontro: l’ultima l’ho gettata nel Tamigi». Forse per questo adesso è imbattibile: «Ci sono giorni in cui non tocco gli scacchi: ma il gioco è sempre con me. Nella mia testa». E poi dite che i mostri non esistono.