Michele Concina, il Fatto Quotidiano 24/11/2014, 24 novembre 2014
JOHN, IL GALLESE ESPERTO N.1 DI CALABRESE
C’è un anziano signore che sa tutto del dialetto calabrese. Anzi, delle centinaia di dialetti parlati fra la Sila, l’Aspromonte e i due mari. Sa tutto del lessico, della pronuncia, dell’etimologia, della toponomastica calabrese. Sa decifrare i codici della ‘ndrangheta come i palinsesti medioevali. Ma calabrese non è: è gallese, e si considera celta.
Si chiama John Basset Trumper, è nato 70 anni fa a Cardiff, da poco è andato in pensione dopo aver passato metà della sua vita a insegnare Linguistica generale ad Arcavacata, l’università di Calabria. In Italia è arrivato in un anno speciale, il 1968. “Fu uno shock”, racconta. Ma non si riferisce alla contestazione studentesca, agli scontri fra operai e celerini, alla rivoluzione dei costumi. “Studiavo a Padova. Scendevo a far colazione, e il barista mi parlava in dialetto. A un cittadino britannico faceva impressione”. La protesta sociale, i cortei per le strade erano invece materia consueta: “Venivo da una famiglia socialista, quasi trotzkista. Mio nonno era stato un leader sindacale dei minatori gallesi, poi uno dei primi deputati laboristi. A Padova, però, in piazza non ci andavo. L’Unione Europea era una cosa diversa, a quei tempi, e mi avevano detto che rischiavo il foglio di via”.
Ai sommovimenti in atto nel nostro Paese, Trumper partecipò piuttosto da scienziato. Introducendo di fatto nell’arsenale investigativo uno strumento nuovo, la perizia fonica. Successe con l’attentato di Peteano, nel maggio del ’72: tre carabinieri attirati in trappola con una telefonata e uccisi da una 500 carica d’esplosivo. L’Arma cercò d’incastrare prima Lotta continua, poi sei ragazzi qualunque che forse ce l’avevano con i militi per piccoli sgarbi. Incaricato dalla magistratura, lo studioso dimostrò che il telefonista era “un friulano della valle del Natisone che tentava di sembrare triestino”. In seguito fu dimostrato che la strage era opera di un gruppo di neofascisti, uno dei quali confessò.
Ormai piuttosto noto fra gli addetti ai lavori, alla fine degli anni Settanta Trumper fu ingaggiato dalla difesa di Toni Negri, il “cattivo maestro” dell’università di Padova accusato di aver fatto la telefonata con cui le Brigate rosse fornivano istruzioni per il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. “Si capiva benissimo che il telefonista era un abruzzese che voleva passare per romano. Certo non era Negri, un accademico tutt’altro che coraggioso. Uno di quelli bravi solo a parlare”.
Così arrivò il 1980, e John Trumper scoprì la Calabria. Landa remota e malsicura per gran parte degli italiani, figuriamoci per un suddito di Sua Maestà. “Mio padre mi aveva infilato nel bagaglio una scorta di chiodi e viti”, ride oggi la moglie padovana, Marta Maddalon. “Io insistevo: guarda che anche laggiù ci sono i negozi di ferramenta. E lui: forse, ma non si sa mai”. A Trumper, un collega disse: devi esserti innamorato del Medioevo. “E forse c’era un pizzico di verità”. Il fatto è che la Calabria, per un linguista, è come la foresta amazzonica per un ornitologo, un territorio brulicante di varietà e specie rare, in parte ancora sconosciute. “Credo che proprio qui sia riscontrabile il massimo della frammentazione linguistica. È quasi incongruo parlare di calabrese come se fosse un unico idioma. Ci sono paesi come Africo in cui si parlano due dialetti diversi. Tutti pensano che il calabrese sia difficile da parlare; ma imitare la fonetica non è troppo impegnativo, il problema è scegliere la sintassi e il lessico giusto, fra centinaia di varianti”.
In 34 anni, Trumper se n’è impadronito più di chiunque altro. Ha fondato il primo laboratorio di linguistica sperimentale a sud di Roma e il Centro di lessicologia e toponomastica della sua università. Dirige l’Atlante linguistico-etnografico della Calabria e coordina il Dizionario etimologico calabrese. È un filologo che si diverte: anni fa ha tradotto in “un pot-pourri di dialetti della valle del Crati” ‘Endgame’, cioè ‘Finale di partita’, uno dei più importanti lavori teatrali di Samuel Beckett. Se è di buon umore, la mattina al bar si mette ad ascoltare quelli che chiacchierano e indovina da quale paese provengono; come il professor Henry Higgins, il professore di fonetica protagonista di ‘My fair lady’.
Quando glielo chiedono, lavora anche per il cinema: è stato consulente per il dialetto pre-silano nella produzione di ‘Marina’, un film sugli immigrati italiani che ha vinto tutti i premi disponibili in Belgio, e in Italia ha trionfato al recente festival di Trevignano. Non, invece, per ‘Anime nere’, che però ha analizzato con scrupolo professionale: “Bellissimo, ma i tre fratelli parlano tre dialetti differenti”. L’ultima impresa è un libro, ‘Male lingue’ scritto con Nicola Gratteri, il magistrato in prima linea contro la ‘ndrangheta. Uno studio sulle origini lontanissime dei codici utilizzati dalla criminalità organizzata, per capire le regole che la governano e l’immagine che ha di se stessa. Della sua Calabria, certamente non più medioevale, Trumper rimane innamorato. L’unica cosa che rimprovera ai suoi abitanti è la mancanza di senso dell’umorismo: “E’ un ingrediente indispensabile della vita, serve a tutto. Anche ad affrontare il cancro, come è capitato a me”.