Giuseppe Lo Bianco, il Fatto Quotidiano 24/11/2014, 24 novembre 2014
MAFIA CIALTRONA: PIZZINI FACEBOOK DONNE E BOLLICINE
Occhiali scuri, piscina esotica, costume da bagno e un libro di Dan Brown. Oppure un calice di champagne alzato a brindare dentro una limousine bianca sulla Fifth Avenue di New York. O ancora: capelli al vento al timone di un fuoribordo di 16 metri che solca le onde davanti la costa siciliana. Volti sorridenti , l’espressione arrogante davanti ai piatti di aragoste e gamberoni immortalati sopra due parole comuni del lessico palermitano: “a faccia ri inviriusi (alla faccia degli invidiosi)”. E accanto giovani donne, bionde e brune, compagne e fidanzate, contorno indispensabile della “dolce vita” dei giovani boss di Cosa Nostra ai tempi di Facebook. Se ha, e può avere, ancora un senso parlare di Cosa Nostra, almeno come interpretazione dei sub valori che in passato cementavano l’associazione mafiosa: omertà, silenzio, riservatezza, sobrietà. E messaggi in codice. Tra i “pizzini” dell’anziano boss Bernardo Provenzano scritti in un linguaggio cifrato e le esternazioni con foto sul social network di Domenico Palazzotto, neo capomafia dell’Arenella, borgata marinara di Palermo controllata un tempo dalle famiglie Fidanzati e Galatolo (quella dell’ultimo pentito che ha rivelato il progetto di attentato al pm Nino Di Matteo) corre infatti un’era geologica. L’ultima generazione di padrini è spocchiosa, arrogante, amante di un lusso irrefrenabile, zoppicante nelle espressioni grammaticali e anche un po’ cialtrona. Ma soprattutto aperta: i giovani boss non si nascondono più agli occhi del mondo e i profili facebook sono pieni di foto e post che inneggiano alle usanze criminali e alla bella vita. Unica precauzione: il nome falso. Ma le foto e i commenti sono lì, a promuovere le agiatezze del crimine. E sono state proprio le foto, trovate dai carabinieri a Portella di Mare, a casa di Nino Messicati Vitale, a spianare la strada alla cattura del giovane boss di Villabate dal cognome “doc”: il padre, Pietro, fu assassinato nel 1989 sulla litoranea per l’Aspra in un contesto di delitti legati al ritorno del pentito Contorno in Sicilia. In quelle foto gli agenti scoprono Nino Messicati disteso su una sdraio di un lussuoso albergo a bordi di una piscina esotica, con un giardino al centro.
Piscina traditrice
Il giovane boss se la spassava in Indonesia (ma ancora gli investigatori non potevano saperlo) senza rinunciare alle sue antiche passioni: nel video trovato durante la perquisizione si vede Messicati al tavolo di un ristorante con un’allegra compagnia chiedere al violinista e al tastierista che allietavano i clienti dell’albergo un’interpretazione della colonna sonora del Padrino, di Francis Ford Coppola. E quando a Punta Raisi è sbarcato il fratello di Nino, Fabio Messicati Vitale, proveniente da Bali, agli investigatori del maggiore Antonio Coppola è bastata una veloce ricerca su Internet, circoscritta all’Indonesia, per scoprire quella piscina dalla forma strana e volare, insieme all’Interpol, nell’hotel Puri Puri Kecil in località Basangkasa Kuta. Messicati Vitale per tutti era un agiato turista sardo con amici benestanti: e mafiosi doc. Dietro di lui, nel video, si vede il volto del boss palermitano Tanino Tinnirello, della potente famiglia di corso dei Mille, anch’egli scappato in Indonesia.
Coca e fuoriserie a New York
Un pentito di Bagheria, Antonio Zarcone, rivelò che Nino si dava da fare per proteggere la latitanza di un altro giovane boss dei quartieri del centro di Palermo, arrestato nel dicembre del 2009 grazie ad una soffiata al Sisde. Sei anni prima era stato spedito a New York, dalle famiglie americane, da Provenzano in persona, insieme ad un altro astro nascente di Cosa Nostra: Nicola Mandalà, che accompagnò il boss corleonese a Marsiglia, per l’operazione alla prostata. Le foto sequestrate a casa di un amico li ritraggono per le strade di Manhattan con le fidanzate sorridenti e l’emissario della famiglia Gambino, Frank Calì, con cui avevano stretto l’accordo per due chili di coca: ma Fbi e Sco erano già sulle loro tracce e li pedinavano filmando ogni movimento. Non c’è bisogno delle foto della polizia federale Usa per scoprire che Domenico Palazzotto, boss dell’Arenella dall’antico pedigree mafioso (agli amici raccontava vantandosi che un suo antenato aveva sparato al poliziotto italo americano Joe Petrosino), si è spostato a New York: il selfie che lo ritrae a bordo di una limousine bianca nel centro di Manhattan con un calice di champagne alzato per brindare l’ha postato egli stesso sul suo profilo “coperto” di facebook, insieme a centinaia di commenti che tradiscono lo stile di vita del neo mafioso che ama la musica napoletana, Gigi D’Alessio, Kenny Loggins e la fiction tv “Onore e rispetto”. E che non ha pudore ad ammettere il rischio delle manette: “Qualche volta come Fabrizio Corona mi finisce... tanto x cambiare... kiamato dalla questura...”, scrive sul social network. Calati nel ruolo, tra manifestazione di ricchezze e bella vita, Palazzotto i suoi amici sembrano inneggiare ai gangster americani, e in un video reso pubblico su Facebook recitano persino la parte dei boss, pochi istanti nei quali un ragazzo urla “Il padrino sono io” per essere scherzosamente zittito da Palazzotto che gli replica: “Vabbè, l’originale sono io”. Sembra una parodia di “Quei bravi ragazzi” di Scorsese con le battute copiate da uno sceneggiatore senza fantasia: “Devo mandare un curriculum?”, scrive sulla bacheca del boss un aspirante mafioso. E Palazzotto gli risponde: “Sì, frate, dobbiamo valutare i precedenti penali, incensurati non ne assumiamo”. E aggiunge, scontrandosi con la lingua italiana: “Passa nella mia scuadra... i piu forti ora siamo noi hahaha, teniamo conto anche del nucleo familiare”.
Decalogo mafioso sul social network
E se il capo ostenta su Facebook potere e ricchezze, il gregario non è da meno, e confessa di attendere tempi migliori: “X il momento sn uno dei pochi squali che caccia negli abissi. Ma arriverà il momento in cui salirò a galla e li non avrò più pietà x nessuno” scrive Salvatore D’Alessandro, picciotto della cosca fedelissimo di Palazzotto che usa Facebook per fare outing: “Io nn voglio cancellare il mio passato, xché nel bene e nel male mi ha reso quello che sn oggi. Anzi ringrazio a chi mi ha fatto scoprire l’amore e il dolore, chi mi ha amato e chi usato. Chi mi ha detto saremo sempre insieme. Credendoci ho chi invece l’ha fatto X i suoi sporchi comodi. Io ringrazio me stesso X avere trovato la forza di rialzarmi e andare avanti”. E quando capisce che il cerchio degli investigatori si sta stringendo attorno a lui su Facebook si sfoga così: “La gente non finisce mai di mettermi infamita xche sn solo invidiosi della mia persona. Mi potete mettere tutte le infamita di questo mondo e mi potete invidiare quanto volete ma me la sento solo s... Hahahaaaaaa. siete solo pezzi di merda cornuti sbirri e buttane”. Ma tra il cazzeggio si colgono anche frasi potenzialmente allusive: “Beati coloro che verranno perseguitati dalla giustizia, perché di essi sarà il regno dei cieli”, scrive Palazzotto sul suo profilo, e la citazione di un passo del Vangelo secondo Matteo tradisce in fieri un’allusione al superlatitante Matteo Messina Denaro, l’ultimo dei boss stragisti ormai ultra cinquantenne fedele ai principi della sub cultura mafiosa. Lo sono meno gli uomini del suo clan, guidati nel trapanese da Giuseppe Fontana detto Rocky, soprannome del tutto adeguato visto che hanno ridotto un ladro colpevole di avere rubato a casa sua su una sedia a rotelle a forza di botte, costringendolo a chiedere scusa. Scene di un “nuovo corso criminale a Castelvetrano, che si affianca a quello tradizionale di Messina Denaro, quasi da Arancia meccanica, il film di Kubrick”, come dice il procuratore aggiunto Teresa Principato che ha coordinato la recente operazione del Ros che ha condotto in carcere, tra gli altri, Girolamo Bellomo, 37 anni, detto Luca, nipote acquisito di Matteo Messina Denaro per avere sposato Lorenza Guttadauro, avvocatessa e figlia di Filippo e Rosalia Messina Denaro, sorella del superlatitante. Un anno fa un gruppo di malavitosi con le pettorine della polizia guidati da Bellomo irruppe nel capannone di un’azienda di trasporti di confiscata a Cesare Lupo, un prestanome dei fratelli Graviano, i boss di Brancaccio, mafia prelevando oltre 600 colli e 17 mila euro in contanti. A far stampare le pettorine era stato un attore della fiction Agrodolce, che in tv interpretava proprio il ruolo del poliziotto. E quando in Cosa Nostra si scoprì che la rapina era stata compiuta ai danni di un mafioso qualcuno storse il naso, dissenso rientrato immediatamente quando si diffuse la notizia che il deposito Tnt era stato confiscato dallo Stato. Rapine che ai tempi d’oro di Cosa Nostra erano pressocché sconosciute e che oggi, come dice il generale Mario Parente, comandante del Ros dei carabinieri, il sodalizio mafioso di Castelvetrano è costretto a compiere perché è “sempre più in difficoltà: la loro organizzazione per sostenere la rete e la latitanza di Messina Denaro è dedita al compimento di attività che da tempo non venivano più svolte”.