Marco Belpoliti, La Stampa 23/11/2014, 23 novembre 2014
PRIMO LEVI ZOO DELLE MIE BRAME
Nel 1987, anno della sua scomparsa, Primo Levi aveva avviato una collaborazione con la rivista Airone, una vera e propria rubrica intitolata «Zoo immaginario». Sotto forma di dialogo, via di mezzo tra l’apologo e l’operetta morale leopardiana, un giornalista intervistava di volta in volta degli animali: talpa, gabbiano, giraffa, ragno, e persino un batterio intestinale; qualche tempo prima aveva scritto un dialoghetto con la regina del formicaio. Tutti «personaggi» ben presenti nella sua opera, un ampio bestiario che dalle pagine di Se questo è un uomo s’espande nei racconti, nei saggi, nelle recensioni per La Stampa, e soprattutto nelle poesie, dove occupa un posto di rilievo, là dove l’«inquilino del piano di sotto», come lo definiva Levi, parla in forma diretta. Ernesto Ferrero ha raccolto in un unico volume tutti i testi dedicati direttamente agli animali, pescando da racconti, poesie, scritti saggistici, e presentandoli con il felice titolo di Ranocchi sulla Luna e altri animali (Einaudi, pp. 220, € 19).
Non c’è libro di Levi in cui non compaia un animale, o non si parli di uomini e donne attraverso metafore animali. Del resto, al centro del suo primo libro, il resoconto della discesa agli Inferi, nel capitolo intitolato «I sommersi e i salvati», si tratta dell’animale-uomo, oggetto di «una gigantesca esperienza biologica e sociale» operata dai tedeschi nel Lager. Levi guarda tutto quello che gli accade attorno con l’occhio del naturalista, professione che, se non fosse intervenuta la spiccata vocazione per la chimica alla fine del liceo classico, sarebbe stata perfetta per la sua indole d’osservatore curioso, attento indagatore dei dettagli e delle particolarità offerte dal mondo naturale, dagli animali più che dalle piante e minerali, per cui pure nutriva come chimico un interesse speciale.
L’elenco degli animali di cui si è occupato nei suoi scritti è lunghissimo, compresi quelli inventati, come il Vilmy, via di mezzo tra il cane e il gatto, con occhi celesti e lunghe ciglia, fornito di un latte che dà dipendenza in chi lo beve, su cui si sofferma Angela Di Fazio in un recente libro, Altri simulacri. Automi, vampiri e mostri della storia nei racconti di Primo Levi (Edizioni Ets). Oppure gli «atoúla» e le «nacunu» del racconto I figli del vento, roditori le cui le prerogative tradizionali del sesso maschile e femminile appaiono rovesciate. Se si sta alle frequenze delle citazioni, l’animale più presente è il cane, poi il cavallo, quindi il gatto, il coniglio e la gallina. Ma non è la quantità che definisce il rapporto di Levi con il mondo animale, bensì il ruolo che hanno nel suo universo simbolico e immaginario. Nelle sue opere tutto si può rovesciare nel suo opposto.
In una recensione alla traduzione del Richiamo della foresta di London, il cane, animale negativo, diventa positivo oggetto di paragone: come Buck, anche lui è stato deportato a Nord, tra le nevi. Gli animali evidenziano sia la parte chiara sia quella oscura di Levi, la fondamentale ambivalenza che si cela nella sua opera. Così, se si mostra molto interessato agli animali sociali, formiche e api, poi in una poesia le formiche si trasformano nell’immagine del Lager: la bica dei deportati. Tutto questo senza che cessi mai la gioia della scoperta continua del mondo animale, raccontata negli elzeviri sulla Stampa, come giustamente ricorda Ernesto Ferrero nella sua bella prefazione al volume. Nessuno scrittore del Novecento ha nutrito una così forte attrazione per questo universo; forse solo Kafka, cui però mancavano le conoscenze biologiche e scientifiche del chimico torinese, uno dei motori dei suoi libri. Primo Levi ha identificato con sicurezza, unico tra gli scrittori insieme con Vladimir Nabokov, studioso delle farfalle, l’insetto della Metamorfosi: uno scarabeo, e non uno scarafaggio come ancora si crede. Le farfalle sono un altro oggetto di passione, la butterfly, mosca del burro, spiritello delle fiabe nordiche che ruba latte e burro, ma che compare quale animale mostruoso nel racconto Angelica farfalla.
L’enciclopedismo di Levi è vasto e diffuso; da giovane gli amici dicevano: Primo sa tutto. Perciò ogni volta che cita un animale, o lo inventa, come nei racconti «fantabiologici» - definizione di Calvino -, la descrizione è precisa e dettagliata: la sua è una fantasia metodica e razionale. Se si dovesse dire qual è l’animale per eccellenza di Levi, bisognerebbe indicare il Centauro, figura mitologica, e soprattutto ibrida, cui si è più volte paragonato per indicare la sua duplice identità di chimico e scrittore, testimone e narratore, ma anche per sottolineare la doppia natura d’animale e uomo, compresenza d’impulsi razionali e irrazionali che alberga in Trachi, protagonista del racconto Quaestio de centauris del 1961. Storia d’iniziazione, amore e disperazione che rifletteva molto di sé stesso.
Marco Belpoliti, La Stampa 23/11/2014