Mattia Feltri, La Stampa 23/11/2014, 23 novembre 2014
PER POLITICI E ANTIPOLITICI NON È PIÙ TEMPO DI PIAZZE
La piazza è una bestia strana: anche quando è piccola fa rumore. Le contestazioni a cui è stato sottoposto nelle ultime settimane Matteo Renzi sono contestazioni di gruppi scarni, ma ripetute: a Bergamo, a Parma, a Ferrara, a Napoli, a Modena.
Succede perché la piazza è il luogo quasi esclusivo degli arrabbiati e di rado si concede all’applauso, a meno che non si tratti di piazze organizzate. E però questo è il tempo che nemmeno le piazze organizzate vanno bene; nel suo giro elettorale in Emilia Romagna e in Calabria, il premier è rimasto al riparo di disoccupati, sindacalisti e altri rabbiosi: a Parma si è limitato a un incontro col sindaco a cinque stelle Federico Pizzarotti, a Bologna ha parlato a PalaDozza e venerdì, a Cosenza, si è dovuto accontentare del piccolo auditorium Antonio Guarasci (ottocento posti) nel liceo classico Telesio. Lo ha deciso il prefetto poiché c’era pericolo di contestazioni dei centri sociali, e infatti polizia e ragazzi se le sono date nell’attesa che arrivasse l’ospite. Un tour abbastanza deprimente per un leader politico che alle ultime Europee ha raccolto consensi quasi mai visti in Italia, che si spende per guadagnare voti al partito - e il tuffo nella folla sarebbe indispensabile - e che all’inizio dell’incarico a Palazzo Chigi prendeva incoraggiamenti e pacche sulle spalle a ogni passeggiata, soprattutto durante le visite del mercoledì alle scuole. I siti erano colmi di foto di studenti a braccia tese per ricevere il cinque del presidente del consiglio. Anche le visite del mercoledì - forse per troppi impegni - sono terminate e dimenticate.
Non sono guai esclusivi del governo (ha saggiato il saporaccio dei fischi pure il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti). Persino l’europarlamentare leghista Mario Borghezio - uno che in piazza si muove a fiuto come un cane da caccia - ieri è stato maltrattato all’Eur, che pure non è estrema borgata, ma elegante quartiere periferico romano: si sfilava contro il mare di prostitute che animano le notti, e Borghezio è stato invitato a mettersi in coda, il massimo concesso a un politico genericamente accusato di appartenere alla categoria responsabile del degrado. A Tor Sapienza era andata appena meglio, per il motivo che Borghezio s’era limitato a dire due parole di solidarietà in un bar dov’era arrivato con la rassicurante scorta di Casa Pound: in strada non lo si è visto. Non è solamente una questione di trasferta fuori giurisdizione per uno della Lega - problema serio per il segretario Matteo Salvini deciso a raccogliere consensi dove il suo partito non ne ha mai presi - ma piuttosto di insofferenza irrimediabile alla sfilata del giorno dopo. Altrimenti non si capirebbero le ragioni del brutto pomeriggio trascorso proprio a Tor Sapienza dalla senatrice grillina Paola Taverna, una riconoscibile per dirompente romanità popolana. Ma nella non del tutto razionale furia antipolitica - alimentata per nemesi soprattutto dai cinque stelle - non è più tollerato che i signori della casta («io non sono una politica», diceva disperatamente la Taverna, «e che sei, della Caritas?», le ha risposto sarcastico il presidiante) compaiano in favore di telecamera a guasti compiuti.
Il primo, nel mondo fatato della democrazia dal basso, era stato proprio Grillo maltrattato nella sua Genova nei giorni del fango. Non fare passerella, vieni qui a spalare, gli hanno gridato, e a lui non pareva possibile di essere destinatario di una lezione popolare. Praticamente non lo si è più visto. Ogni tanto dice cose così enormi da risultare innocue (per esempio che i morti di Genova stanno sulla coscienza del premier), piuttosto sono manifeste la timida comparsata in Emilia e la diserzione in Calabria, dove si prevedono risultati elettorali scoraggianti. La rinuncia alla piazza - per stanchezza o per timore del declino - fa impressione perché l’avventura politica di Grillo si avviò con lo straripante VaffaDay dell’8 settembre 2007, decine di piazze d’Italia collegate con quella di Bologna aizzata dal comico. E così, in questo autunno nervoso, in piazza non ci va più nessuno, a parte Salvini che infatti rischia il linciaggio a Bologna, e non sarebbe aria nemmeno per calibri più energici. Non ci va Silvio Berlusconi perché non può, ma non ci andava praticamente più da quando si prese la disgraziata miniatura del Duomo in bocca, e non ci vanno per senso della realtà quelli dei partiti a corollario della maggioranza. I forti e i deboli: tutti improvvisamente espulsi dal luogo dove la politica nacque.
Mattia Feltri, La Stampa 23/11/2014