Gianni Mura, la Repubblica 23/11/2014, 23 novembre 2014
GIOCHI SENZA FRONTIERE PER LE FATICHE DI ERCOLE
Sfiga. Mi giro subito un 2 e chiedo scusa ai lettori, tanto più che si tratta di una parola che detesto, anche più di manager. Mi obbliga ad usarla l’attualità e comunque l’enciclopedia Treccani la riporta come sinonimo di sfortuna, iella. L’aggettivo sfigati era già stato sdoganato da un viceministro, Martone. Il sostantivo non era ancora entrato nel discorso di un premier. Lo stesso che ieri, in una lettera aperta a Repubblica, ha detto che la sua sinistra non ha bisogno di esami del sangue. Forse no, ma è rimandata all’esame orale, anzi è rimandato lui visto che è il capo. In chiave enoica, se la sinistra fosse un vino rosso, come da tradizione, e la destra bianca, Renzi sarebbe un rosé (da servire fresco ma non ghiacciato). Ha detto che non possiamo abituarci al cliché che racconta l’Italia come un insieme di sfighe. In tempi non lontani Berlusconi se l’era presa con le tv che mandavano in onda storie di mafia e camorra e gettavano fango sull’Italia. In tempi più lontani, quando i film li facevano Zavattini e De Sica e non li produceva Aurelio de Laurentiis, più o meno per lo stesso motivo Andreotti partì lancia in resta contro il neorealismo. Non è tutto nuovo quello che avanza.
Renzi è rimandato all’orale anche per un brutto vezzo: quello di attribuire a qualcuno frasi che mai quel qualcuno pronunciò, oppure citare ad minchiam (copyright Francesco Scoglio). Renzi, giovedì: «A me colpì molto Monti quando disse che le Olimpiadi erano un progetto troppo grande per l’Italia». Nel febbraio 2012 Monti disse invece: «Non pensiamo che sarebbe opportuno impegnare l’Italia in questa avventura che potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti». Già allora, scrissi che era stata la mossa migliore del suo governo. Ora posso anche dare i voti: mossa 7,5, governo 4 ma bisognerebbe ripensare all’incubo dello spread. Allora si calcolò che le Olimpiadi a Roma sarebbero costate 9,8 miliardi di euro di cui 8,2 a carico dello Stato. E c’erano, a consigliare estrema prudenza, la cicatrice di Montreal (30 anni per saldare i conti con i Giochi del ‘76), le ferite di Atene (debito pubblico impennato del 6%), e poi di Londra (preventivi sforati del 30%).
Il 15 dicembre potrebbe essere ufficializzata la candidatura di Roma. Con la benedizione di Renzi: «Non c’è nessun progetto troppo grande per l’Italia ». Vero, nel ‘60 a Roma furono bellissime Olimpiadi: 8,5 e 9 al ricordo di Wilma Rudolph.
L’ultima volta la vidi a Perugia, era venuta a ritirare il premio Mandela. Aveva un tailleur rosso e su corso Vannucci cominciava a nevicare, la città dietro sembrava un presepe. «Finché correvo e vincevo ero una brava cittadina americana, poi sono tornata a essere una donna nera», disse. Ma torniamo a Renzi: «Ci sono talvolta i nostri sogni che si sono rimpiccioliti perché ci siamo adeguati». Fuochino. «Nei prossimi mesi ho da sistemare un po’ di cose: legge elettorale, pubblica amministrazione, fisco, giustizia, la scuola che è la priorità. Un Paese che riesce a rimettere in moto queste cose che paura volete che abbia rispetto a un ambizioso obiettivo per i prossimi 10 anni? Se riusciamo a rimettere in moto il fisco e la pubblica amministrazione le Olimpiadi le facciamo sottogamba». Sottovoce, forse, meglio sarebbe.
Replica di Malagò: «Le parole di Renzi ci fanno felici. Confermano la sua sensibilità verso lo sport. Lo aspetto il 15 dicembre al Foro Italico». Saranno premiati gli atleti azzurri che si sono distinti nella stagione. Bravi tutti. Purtroppo io non traggo felicità alcuna dalle parole di Renzi. Se questa è la crisi più grave dal pleistocene in qua, non può essere addebitata a Renzi, che però mi sembra troppo ottimista sulla possibilità di risolvere velocemente una serie di incombenze che, al confronto, le fatiche di Ercole sembrano Giochi senza frontiere. Oppure l’antisfighe ha un’alta valutazione di sé, non posso escluderlo ma sono più ferrato in enologia che in egologia. O, ancora, vivendo a Milano, sono condizionato dall’Expo e continuo a chiedermi se ci sia tanto bisogno di eventi eccezionali per diventare un Paese normale. E se sia così sbagliato pensare che le grandi opere troppo spesso diventano una presa in giro dei cittadini e un indebito arricchimento per i soliti corrotti e corruttori, dal Mose all’Expo cambiano i nomi ma non i metodi. Sono le opere normali, assidue, corrette a fare grande un Paese, non le grandi opere taroccate.
Ad ogni modo, il 15 dicembre mi renderò irreperibile per non dover commentare l’ufficializzazione della candidatura olimpica di Roma, al momento ancora rubricata alla voce “sogno”. O incubo, dipende dai punti di vista. Lotito ha un solo punto di vista: il suo. In diretta tv, sulla vexata quaestio del Tavecchio razzista dice che no, «in Africa ha anche adottato tre cosi». Tre bambini, si presume. Invece di ammettere lo scivolone ha evocato la sordità degli astanti.
Invece aveva proprio detto cosi. Se Lotito è uno dei più impegnati a migliorare il calcio italiano, conviene interessarsi al calcio ticinese. Se c’è ancora, nel Cantone, una squadra che un presidente italiano non abbia già portato al fallimento. È impagabile, Lotito, ma non invotabile.
Siccome sono mezzo sardo ma non mezzo sordo, il voto è 2.
Gianni Mura, la Repubblica 23/11/2014