Giampaolo Visetti, la Repubblica 23/11/2014, 23 novembre 2014
ADDIO AL MONOPOLIO PIÙ ANTICO DEL MONDO LA CINA RINUNCIA ALL’ESCLUSIVA SUL SALE
PECHINO
Ci sono voluti 2600 anni. La Cina ha infine ceduto, annunciando la caduta del monopolio di Stato più antico del mondo. Dal 2016 il sale potrà essere prodotto e commercializzato anche dai privati. Il mercato, all’inizio solo a Shanghai, sarà aperto pure agli stranieri. Sul sale, prima ancora che sul tè, sul tabacco e sulla seta, le dinastie cinesi hanno costruito il solo impero della storia paragonabile a quello romano. Mao Zedong lo sapeva: nel 1950, a pochi mesi dalla fondazione della Repubblica popolare, si affrettò a rinnovare l’esclusiva sul bene che aveva consentito al popolo “han” di conquistare l’Asia, influenzare il Medio Oriente e conoscere l’Europa.
Il tempo delle millenarie rotte commerciali si è però consumato. Non servono più le spezie per fondere popoli e civiltà e anche nella Città Proibita soffia il vento delle riforme liberiste. Il governo ha anche annunciato che il prezzo del sale sarà liberalizzato e che il mercato interno più ricco del pianeta sarà «aperto totalmente ai capitali».
All’origine della svolta, oltre ad un business sempre meno significativo, c’è la salute dei cinesi. La libera concorrenza favorirà il consumo del sale iodato, di origine marina, completando la dieta di una classe media sempre più vasta ed esigente. In Cina si usa ancora quasi esclusivamente sale gemma, estratto nelle miniere dell’Himalaya. Proprio attraverso le montagne più alte della terra sono transitate le carovane di yak e di cavalli che lo trasportavano verso il Mar cinese meridionale, o verso l’India. Un patrimonio non solo alimentare ed economico. Il sale ha fatto incontrare il Tibet con il Nepal, la Birmania con la Mongolia, lo Xinjiang con la Persia e la Turchia, la Russia con lo Yunnan diffondendo il buddismo, l’islam, l’uso della ceramica e dei metalli. Le statue più sacre del Potala, il monastero- fortezza dei Dalai Lama a Lhasa, venivano pagate con sacchi di sale, usati come moneta.
L’importanza del condimento, all’epoca unico conservante, era tale che attorno al Mille lungo la Via del Sale che attraversava l’Asia e la catena del Tianshan, marciavano ogni anno ventimila cavalli e altrettanti cammelli. Per lo scambio dell’“oro bianco”, accompagnato dal riso e dall’oppio, sorgevano villaggi e città, paragonabili alle attuali capitali della finanza. Un declino consumato da tempo: fino a ieri però non abbastanza da convincere il partito comunista a rinunciare al controllo di un bene che Deng Xiaoping definiva «materia prima del popolo».
Il primo passo nel 2006, quando Hu Jintao ha abbattuto un altro monopolio storico, revocando la tassa sui terreni agricoli. Tocca ora a Xi Jinping chiudere quella che la tv di Stato ha chiamato «l’era del sale», trasformando la data nel simbolo «della Cina che si apre al mercato». Il “nuovo Mao” aveva bisogno di una merce-icona per trasmettere globalmente il messaggio che la seconda economia del mondo «è sempre meno statalista e sempre più capitalista».
Segnale, oltre che saporito, potente. I cinesi entro due anni potranno scegliere tra ventisei varietà di sale e quaranta aromi diversi. L’Occidente realizza che la Cina, dando l’addio al sale di Stato in cucina, sarà sì un mercato: ma sempre più salato.
Giampaolo Visetti, la Repubblica 23/11/2014