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 2014  novembre 23 Domenica calendario

BINI SMAGHI: “LA UE VUOLE RIFORME MA SUL DEFICIT HA RAGIONE PADOAN ORA FUSIONI TRA LE BANCHE ITALIANE”

[Intervista] –
ROMA.
«Si è aperta la questione della differenza di vedute sul calcolo del deficit strutturale. Bene, nella sostanza ha ragione Padoan quando dice che il problema non è di finanza pubblica bensì di crescita potenziale, ma nel frattempo sono anche nel giusto le istituzioni europee quando sottolineano che il potenziale di crescita dell’economia italiana si è ridotto considerevolmente rispetto a pochi anni fa. Tutto ciò premesso, il punto vero non è qui». Lorenzo Bini Smaghi, economista di scuola Bankitalia, membro del board della Bce fino al dicembre 2011, attualmente presidente della Snam, interviene nella querelle sull’“output gap” scoppiata in sede europea, ma rimarca con forza che le discussioni stanno a zero: «Un punto di decimale in più, uno in meno, poco importa. Sì, forse per l’Italia si aprirebbe qualche insperata possibilità di investimenti pubblici in più, ma in ogni caso ciò avverrebbe in misura talmente minima da non spostare le variabili complessive. L’unico nodo da sciogliere resta la crescita».
Però il gioco del governo italiano a questo punto sembra essere quello di far perno su questa piccola apertura per incardinarvi investimenti sufficienti a riattivare la domanda. E’ un’illusione?
«Intendiamoci, sarebbe comunque un’opportunità da non perdere. Ma non risolverebbe i ritardi dell’Italia, che viceversa deve ritrovare la via della crescita e della domanda aggregata in modo molto più vigoroso, robusto e deciso. E l’unico modo è dare corpo alle tante volte annunciate riforme strutturali. Proprio quelle che Padoan torna a enumerare nella seconda parte della lettera: giustizia, burocrazia, lavoro, efficienza, produttività e via dicendo».
A proposito di scambi epistolari, lei era alla Bce quando partì la famigerata lettera dell’estate 2011. Che differenza c’è con le missive scambiate oggi?
«Bè, allora c’era un tono più ultimativo, ma la situazione oggettivamente era molto peggiore. Non si può negare che rispetto a quei giorni il nostro Paese, ma direi l’intera area euro, abbia conquistato bene o male una maggiore solidità. Però di fatto le riforme in Italia ancora non si sono viste, e conseguentemente non è tornata la crescita: bisogna fare presto, prestissimo. E non fare affidamento su interventi tampone quali possono essere gli 80 euro o appunto questi margini insperati sul bilancio pubblico: il problema di base non cambia, sia che il margine di crescita sia negativo come dice la commissione o leggermente positivo come diciamo noi. Forse la crescita potenziale non è ancora diventata negativa, ma di certo bisogna invertire in fretta questo declino senza compromessi né incertezze».
In questi giorni è scoppiato anche un altro caso, i reiterati stress test che nel caso della banche italiane si tradurrebbero in una serie di altri ammanchi clamorosi anche a carico delle istituzioni più blasonate. E’ giustificato l’allarme?
«Gli stress test continueranno senza soluzione di continuità come fanno in America, questo è certo. Sarebbe ora che il sistema bancario, come del resto quello dell’intera Europa, si rafforzasse. E questo potrà avvenire solo con un cambiamento radicale: oggi il sistema bancario è troppo frammentato e poco redditizio. Le banche devono ridursi di numero, come peraltro sostiene Draghi, accorparsi e perseguire con maggior determinazione la via della redditività. Ma anche il sistema industriale, soprattutto delle piccole imprese, deve mettersi al passo con i tempi, scoprire fonti di finanziamento di mercato, la Borsa, le emissioni obbligazionarie. Oggi è troppo dipendente dalle banche».
Mentre acquisisce la vigilanza in seguito agli stress test, la Bce sta anche lanciando le tanto attese e pluriannunciate misure non convenzionali. Ce la farà ad arrivare al quantitative easing?
«Per ora sono partiti, questa settimana, gli acquisti delle asset backed securities, dopo che nei giorni scorsi erano stati avviati i covered bonds, e mi sembrano tutte misure concrete tutt’altro che da sottovalutare. Certo, prima si arriverà all’acquisto generalizzato di bond, appunto il quantitative easing e meglio sarà. Ne trarrà beneficio anche il sistema industriale perché il Qe allenta la pressione sui tassi a lungo termine favorendone il calo. Inoltre l’euro probabilmente scenderebbe. L’intero apparato produttivo potrà così investire più agevolmente ma solo in un clima di fiducia e solidità verso il sistema-Paese. Ecco che torna l’urgenza delle riforme».
Eugenio Occorsio, la Repubblica 23/11/2014