Andrea Cabrini, MilanoFinanza 22/11/2014, 22 novembre 2014
GOOGLE, IO NON TI MOLLO
[Intervista a Maurizio Costa] –
Andare fino in fondo nella partita con Google sul rispetto dei diritti d’autore per i contenuti pubblicati dal motore di ricerca; adeguare i modelli di distribuzione; portare al 4% l’Iva sulle copie digitali dei quotidiani e dei periodici, come è stato appena fatto per gli e-book; favorire l’evoluzione verso il digitale di un settore, l’editoria italiana, che non solo non va verso l’estinzione, ma che è quanto mai vitale e importante per il Paese. Sono le posizioni espresse da Maurizio Costa, da luglio presidente della Fieg (Federazione Italiana Editori Giornali) dopo 16 anni in Mondadori, nel corso del programma Partita Doppia di Class Cnbc.
Domanda. Presidente Costa, quella con Google è una battaglia in cui rischiate di apparire come alfieri del passato?
Risposta. È un rischio reale, ma proprio perché lo conosciamo dobbiamo essere molto chiari su che cosa vogliamo e su come intendiamo muoverci. Faccio un esempio usando il tema fiscale: abbiamo chiesto che Google paghi le tasse in Italia, ma non vogliamo un euro di quei soldi. Chiediamo che siano utilizzati per la modernizzazione del Paese. Siamo indietro sul fronte della banda larga e le reti Wi-Fi sono un’araba fenice. Non possiamo leggere che l’Estonia è all’avanguardia in Europa e noi siamo fanalino di coda. Destiniamo queste risorse alla modernizzazione delle infrastrutture. Questo andrebbe a vantaggio di tutti. Insomma, voglio ribadirlo, siamo tutto tranne che conservatori. Siamo anzi aperti al dialogo, ma ci sono valori sui quali non possiamo deflettere e siamo decisi ad andare avanti.
D. Su questo ogni Paese cerca la propria strada. In Spagna hanno appena scelto di far pagare per i contenuti utilizzati. In Francia gli editori hanno incassato 60 milioni di euro una-tantum, che destineranno proprio alla transizione verso il digitale.
R. Non sono pochi in assoluto, ma lo sono in relazione alle dimensioni del business. Se le stime sono fedeli, Google raccoglie in Italia oltre un miliardo di euro l’anno in pubblicità: quanto tutti i periodici e i quotidiani. E poi ritengo sbagliata questa soluzione: non si tratta di fare un condono tombale. Un provvedimento una-tantum non riconosce la professionalità dei giornalisti e il valore dei contenuti. Io penso a un sistema più simile a quello messo a punto in Spagna e Germania. Per trovarlo siamo pronti a sederci a un tavolo per ragionare concretamente, ma chiediamo prima di tutto trasparenza. Perché c’è una contraddizione: l’azienda-leader del mondo digitale, ritenuto il mondo della democrazia e della libertà, fa dell’opacità il suo terreno.
D. Noi abbiamo invitato i rappresentanti di Google a confrontarsi con lei, ma non abbiamo ottenuto risposta.
R. Già, e si rifiutano anche di rivelare le dimensioni della loro raccolta pubblicitaria. L’Agcom ha chiesto che questi dati vengano resi noti; loro li hanno comunicati all’Autorità, chiedendo però che rimanessero segreti. Per giunta Google non paga le tasse in Italia, dove realizza il proprio fatturato, ma in Irlanda, dove ha stabilito la sede per ragioni fiscali. Se un editore opera in Italia, deve pagare le tasse qui.
D. Axel Springer, tra i primi editori tedeschi, ha provato a minacciare di togliere i propri contenuti dal motore di ricerca, ma ha dovuto fare marcia indietro. Che cosa ne pensa?
R. Se si legge il comunicato con il quale i tedeschi hanno annunciato la «capitolazione», si capisce bene anche qual è il problema: Google ha oltre il 90% del mercato e di fatto una posizione di egemonia inaccettabile. Ma è proprio su questo che si deve accendere un faro, non solo in Italia.
D. Vi aspettate che su questa questione intervenga l’Unione Europea?
R. Assolutamente sì. Ci sono già prese di posizione europee in questo senso. E la cosa coinvolge anche le diplomazie nazionali: sul Financial Times il ministro della Giustizia tedesco ha preso posizione. E chi gli ha risposto è stata la diplomazia americana, che ovviamente è vicina alle aziende del proprio Paese.
D. Vuol dire che il governo italiano dovrebbe fare altrettanto?
R. Penso che si debba trovare un punto di sintesi tra le esigenze degli editori e quelle del mondo digitale. Non voglio eludere la domanda, ma nemmeno ho la pretesa di imporre le modalità con cui agire. Bisogna comunque lavorare in armonia con la comunità europea per trovare una soluzione comune.
D. Hachette ha appena raggiunto un accordo con Vodafone. Vuol dire che la pace con gli over the top è possibile?
R. Sì, l’accordo indica proprio che si può trovare un punto di intesa. Amazon, dopo la forte denuncia da parte del mondo della cultura e degli autori americani, ha deciso di recedere dalla propria posizione. Non facciamo la guerra a Google per principio, ma per il rispetto dei nostri diritti.
D. Intanto la crisi pesa e i grandi gruppi editoriali non trovano un equilibrio sui conti e sulla forza lavoro. Che cosa può e deve fare il settore per ritrovare vitalità?
R. Innanzitutto sgombriamo il campo da possibili equivoci. Il settore dell’editoria in Italia è in una situazione pesante a causa di due elementi principali: la crisi economica generale, che incide sul consumo della stampa e sulla raccolta pubblicitaria, e la rivoluzione tecnologica. Questa è la fotografia della situazione, alla quale non ci sottraiamo. Ma con altrettanta franchezza rifiuto la posizione di tante facili Cassandre che prefigurano la fine dell’editoria dando addirittura le date, tipo il 2020 o altro. Penso che le Cassandre saranno deluse ancora una volta. D’altronde hanno sempre sbagliato queste previsioni e saranno smentite anche ora, perché la carta stampata ha una propria funzione specifica e ce l’avrà anche in futuro. Certo: non temo l’estinzione, ma c’è la necessità di una evoluzione.
D. In quale direzione?
R. Oggi nel mare magnum dell’informazione indifferenziata c’è bisogno di un’informazione di qualità. Forse i giornali non danno più la notizia perché quest’ultima viene consumata in Rete molto in anticipo rispetto all’uscita dei quotidiani in edicola. Ma l’approfondimento è fondamentale e lo sarà sempre più in questo contesto. Ci sono oltre 20 milioni di persone che ogni giorno leggono i quotidiani e 28 milioni che ogni settimana leggono i periodici. Sono numeri di grande rilievo e solo nell’ultimo anno è cresciuto del 50% il tasso di lettura delle copie dei giornali. Faccio due esempi presi dal mondo dell’editoria internazionale: il Wall Street Journal e il Financial Times dimostrano che è possibile ribilanciare il peso tra carta e digitale evitando la cannibalizzazione. Ci sono poi alcuni settori chiave per il made in Italy, come la moda, il design o l’alimentare, che trovano nei periodici il loro veicolo insostituibile.
D. Non vi siete svegliati un po’ tardi?
R. C’è un modello di business storico che ha ancora un forte valore e il digitale non ha ancora trovato compiutamente il proprio modello.
D. Intanto si è aperta la stagione del rinnovo dei contratti, dai poligrafici ai giornalisti. La Fieg come imposterà questa partita?
R. La situazione richiede una forte discontinuità a tutti i livelli, dalla filiera distributiva alla produzione di contenuti. Dobbiamo credere nel giornalismo di qualità, ma il mestiere deve evolvere, così come la catena distributiva. Inoltre dobbiamo ripensare il sistema delle edicole, che è in forte difficoltà.
D. Il numero delle edicole in Italia è passato in poco tempo da 34 mila a meno di 30 mila. Che futuro hanno?
R. Serve un ragionamento sul comparto. C’è un progetto di informatizzazione del sistema delle edicole che consentirà di farle evolvere in una forma più moderna. Può sembrare paradossale, ma proprio la crisi aiuterà il processo di trasformazione, a patto che tutti i protagonisti della filiera siano consapevoli del percorso da fare.
D. C’è poi un impatto occupazionale con il quale fare i conti.
R. Abbiamo trovato grande sensibilità nel governo. Il decreto Lotti ha indicato alcune strade, che attraverso prepensionamenti e ristrutturazioni prevedono un’agevolazione delle assunzioni. Dobbiamo guardare al futuro senza chiedere sovvenzioni e prebende, ma d’altronde anche questo è un falso mito da sfatare: si pensa che l’editoria sia un settore molto assistito, ma non è vero. E noi non chiediamo sovvenzioni, ma che il governo ci aiuti a compiere questo percorso evolutivo.
D. Le ultime modifiche alla legge di Stabilità prevedono di portare l’Iva sugli e-book dal 22 al 4%. Pensate che lo sconto sia da estendere alle copie digitali dei quotidiani?
R. Credo proprio di sì. Bisognerebbe farlo per tutti i prodotti digitali, dai libri ai quotidiani fino ai periodici.
D. E il mercato pubblicitario? Come sta cambiando e che cosa vi aspettate per il 2015?
R. Gli investimenti pubblicitari sono fortemente influenzato dall’andamento economico e quindi le nostre attese sono in linea con la congiuntura. Il governo si sta impegnando per invertire questa tendenza e, se ci riuscirà, ci saranno ricadute positive anche per gli editori. Ricordiamo che le aziende investono in aspettative; se saranno positive, gli investimenti pubblicitari rappresenteranno il primo motore di cambiamento. Il nostro compito è offrire opportunità agli inserzionisti, dal cartaceo al digitale. (riproduzione riservata)
Ha collaborato Adolfo Valente
Andrea Cabrini, MilanoFinanza 22/11/2014