Marcello Bussi e Matteo Radaelli, MilanoFinanza 22/11/2014, 22 novembre 2014
SCACCO MATTO IN BCE
«Faremo tutto il possibile per alzare l’inflazione e le aspettative di inflazione il più velocemente possibile, come prevede il nostro mandato». Lo ha detto venerdì 21 novembre il presidente della Bce, Mario Draghi, a Francoforte, al Congresso europeo dei banchieri, aggiungendo che «se la traiettoria attuale della politica monetaria non dovesse rivelarsi sufficientemente efficace a raggiungere questo obiettivo, o se dovessero materializzarsi ulteriori rischi sulle aspettative di inflazione, aumenteremo la pressione e allargheremo i canali tramite i quali interveniamo, alterando ritmo, mole e composizione dei nostri acquisti». Difficile essere più chiari di così. Il Qe, ovvero il via ad acquisti su larga scala di titoli di Stato, è sempre più vicino. E potrebbe essere già annunciato alla riunione del Consiglio direttivo del 4 dicembre. Non per niente, Piazza Affari ha accolto le dichiarazioni di Draghi con un rialzo del 3,9%, mentre il rendimento del Btp decennale è sceso fino al 2,208%, un nuovo minimo storico, spingendo lo spread in calo fino a 139 punti base, per poi risalire a 147 in tarda serata. A rendere ancora più significativo l’intervento del numero uno della Bce è il fatto che subito dopo di lui ha preso la parola il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann. Ebbene, l’arcinemico di Draghi non ha fatto il minimo accenno alle scelte della Bce o alla politica monetaria, limitandosi a parlare del settore bancario. Semplice diplomazia o capitolazione silenziosa? Vista la loro reazione euforica, i mercati sembrerebbero più propensi alla seconda ipotesi. Anche perché Draghi ha sottolineato che l’indice Pmi sull’attività economica di Eurolandia, pubblicato il giorno precedente, suggerisce che «una ripresa più forte è improbabile nei prossimi mesi, con i nuovi ordini in calo per la prima volta dal luglio 2013». Con uno scenario del genere, è inevitabile che le aspettative d’inflazione diventino sempre più problematiche. Attualmente l’indice dei prezzi al consumo è allo 0,4%. Per riportarlo il più velocemente possibile vicino all’obiettivo della Bce, ovvero poco al di sotto del 2%, occorre un’azione massiccia. Un’inflazione rasoterra, per non parlare della deflazione, rende inoltre ancora più difficile, per non dire impossibile, contenere l’aumento del rapporto debito pubblico/pil. Qualsiasi politica di austerità per aggiustare i conti verrebbe vanificata. E a proposito di austerità, bisogna ricordare che al G20 di Brisbane, il presidente Usa, Barack Obama è stato particolarmente duro con la cancelliera tedesca Angela Merkel, facendo un pressing che ha ricordato la famosa telefonata dell’aprile 2010, quando il capo della Casa Bianca la convinse a dare il via libera al primo piano di salvataggio della Grecia. Ad avvicinare sempre più la Bce al grande passo del Qe ha certamente contribuito anche la caduta in recessione del Giappone. Non bisogna mai dimenticare che il Paese del Sol Levante è diretto concorrente della Germania in molti settori, come quello automobilistico. Il raddoppio degli acquisti di asset, iniziato lo scorso ottobre dalla Banca del Giappone (BoJ), ha contribuito a indebolire ulteriormente lo yen, aumentando così la competitività delle imprese nipponiche orientate all’export. Cosa particolarmente sgradita in un momento in cui il motore dell’economia tedesca batte in testa, come ha dimostrato l’indice Pmi dell’attività manifatturiera in Germania, sceso nel mese di novembre a 50, segnale di encefalogramma piatto. Nel suo discorso di Francoforte, Draghi ha sottolineato che i Qe effettuati dalla Federal Reserve e dalla BoJ «hanno portato a un significativo deprezzamento dei rispettivi tassi di cambio, anche in una situazione in cui i rendimenti a lungo termine erano già molto bassi». Questo significa che il Qe è perfetto per indebolire l’euro. Non è certo una scoperta, lo sanno tutti. Ma è importante che Draghi lo abbia detto a Francoforte, in Germania. Si tratta di un messaggio agli imprenditori tedeschi: guardate che il Qe fa bene anche a voi. La frenata dell’economia tedesca, il pressing di Obama contro le politiche di austerità della Merkel e la rinnovata concorrenza dell’industria giapponese spiegano quindi il silenzio di Weidmann alle dichiarazioni di Draghi.
Nei prossimi giorni verranno sicuramente da esponenti del governo tedesco i soliti proclami in difesa del rigore e dell’austerità, ma si tratterà di pura retorica, un modo per sopire le inquietudini dell’elettorato tedesco, al quale è stato cinicamente insegnato che la causa di tutti i mali sono quei lavativi dei popoli mediterranei. Ormai, però, il dado è tratto. Bisogna solo capire la tempistica. Fondamentale sarà il dato sull’inflazione in Eurolandia che verrà diffuso venerdì 28 e «che potrebbe rendere certo un evento (l’annuncio di un Qe della Bce a dicembre) che in questo momento è molto probabile», hanno osservato gli strategist di Ig. Secondo gli economisti di Nomura, invece, il 4 dicembre la Bce «annuncerà l’intenzione di iniziare il programma di acquisto di corporate bond nel primo trimestre 2015», mentre l’Eurotower comincerà a comprare titoli di Stato nella prima metà dell’anno prossimo. Bisogna però ricordare che dopo il 4 dicembre, la prossima occasione in cui il Consiglio direttivo della Bce si riunirà è il 22 gennaio 2015. Un periodo troppo lungo per i mercati nel caso in cui Draghi li deludesse a dicembre. Difficile che il numero uno dell’istituto di Francoforte voglia però regalare un Natale con i mercati in subbuglio. Ecco perché sta prendendo sempre più consistenza l’ipotesi del lancio del Qe già il mese prossimo. Qualcuno pensa però che l’operazione arriverebbe comunque in ritardo. Mentre sono in molti negli Usa a riconsiderare criticamente la politica di allentamento quantitativo della Federal Reserve. Poiché parlando dei rapporti tra Qe e livello dei cambi, Draghi ha citato l’esempio della Banca del Giappone, non gli sarà di certo sfuggito un altro insegnamento in arrivo dal Paese del Sol Levante: la politica monetaria della BoJ è stata vanificata non appena il governo guidato da Shinzo Abe ha aumentato l’Iva dal 5 all’8% lo scorso aprile. La conseguenza è stata un crollo del 7,3% del pil nel secondo trimestre e dell’1,6% nel terzo. Questo vuol dire che se la Bce comincerà ad acquistare titoli di Stato, ma continueranno le politiche di austerità, magari chiedendo nuovi giri di vite come minaccia il governo tedesco, l’economia di Eurolandia continuerà ad andare di male in peggio. Una volta messo a tacere Weidmann, quindi, toccherà alla Merkel dire l’ultima parola. Con la consapevolezza che Washington ha già fatto sapere come la pensa al riguardo.
Marcello Bussi e Matteo Radaelli, MilanoFinanza 22/11/2014