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 2014  novembre 22 Sabato calendario

PERISCOPIO

La sonda Rosetta ci ha messo dieci anni per cominciare a lavorare e poi si assopisce dopo mezza giornata. Una storia tutta italiana. MF.

Renzi: «Dobbiamo eliminare gli scontrini...». Il mio idraulico deve essere del Pd. Spinoza. Il Fatto.

Nel 2010 Luigi Zanda chiese le dimissioni di Gianni Alemanno da sindaco di Roma, colpevole di avere raccomandato l’ingresso di suoi protetti nelle aziende municipali. Poi si scoprì che tre anni prima (con Veltroni sindaco) aveva fatto lo stesso lui. Fu infatti scovata una sua lettera su carta intestata del senato, diretta a Giovanni Hermanin, presidente dell’Ama, municipalizzata romana, in cui caldeggiava l’assunzione di un tizio che gli stava a cuore. E ingiungeva all’Hermanin con alate parole, di fargli sapere tempestivamente gli esiti della pratica. Zanda fece insomma la magra figura toccata un quindicennio prima dall’assessore milanese, Carlo Radice Fossati: un integerrimo della sua stessa pasta che, dopo aver costretto alle dimissioni due sindaci Psi (Tognoli e Pillitteri) brandendo la durlindana della legalità, fu incriminato per tangenti. Giancarlo Perna. Il Giornale.

Sono andate in Europa trionfalmente, ma una volta arrivate a Strasburgo si sono subito sedute sugli allori elettorali e hanno combinato poco o nulla. Le eurocheerleader di Matteo Renzi sono così finite in fondo alla classifica della produttività degli europarlamentari italiani, ad anni luce di distanza dall’impegno degli eletti della Lega Nord e del Movimento 5 Stelle, i più lavoratori da quelle parti. Le peggiori sono state Simona Bonafè, Pina Picierno e Alessandra Moretti. E anche quel poco che hanno fatto, l’hanno fatto male. Le rare volte che hanno preso la parola in aula sono state prolisse e incomprensibili (come la Bonafè con il suo discorso sulla diplomazia diplomatica). Così il presidente di turno dell’assemblea ha chiuso l’audio del loro microfono pur di non sentirle più. Franco Bechis. Libero.it.

Non fate come Ferrini, il militante comunista di Arbore: non capisco ma mi adeguo. Il capitalismo va amato, non sopportato. Perché è l’aria che respiriamo; a volte può essere malsana, e va bonificata, ma, senza, non si sopravvive. Non andate sempre in cerca di un «altro» capitalismo. Una volta bisognava cambiare il «modello di sviluppo», ora bisogna «colpire le rendite». E soprattutto non pensate, come avete fatto sciaguratamente in questi mesi, che se non si può cambiare il capitalismo, bisogna cambiare i capitalisti. Sostituire quelli buoni ai cattivi. Perché questa è la più grande delle fesserie. Non ci sono capitalisti buoni e capitalisti cattivi. Ci sono le leggi del capitalismo: aride, spietate. E ci sono gli uomini: legni storti, li definiva il filosofo, come tutti noi. Claudio Velardi, L’anno che doveva cambiare l’Italia. Mondadori. 2006.

Antony Burgess criticava papa Roncalli per l’ecumenismo, per l’alterazione della dottrina, per la volgarizzazione della liturgia uscita dal Concilio Vaticano II. Al di là della sua boutade secondo cui Papa Giovanni aveva salvato la Chiesa abolendo il cattolicesimo, per Burgess il pelagianesimo era il vero nocciolo della sua accusa. Il pelagianesimo era un dottrina già condannata nel 416 ed è sempre stato un fiume carsico della civiltà occidentale. Negando il peccato originale, secolarizzava il destino dell’uomo, dimenticava il male radicale in favore del bene della società e propagava una fede nel progresso che produceva «una specie di regime liberale» destinato a divenire autoritario per costringere gli uomini a essere sempre buoni. Antonio Gurrado. Il Foglio.

Le scale del mio liceo mi tornano sempre in mente, me le sogno anche, quei gradini di marmo calpestati, prima di noi, da generazioni di studenti. E l’aula magna in cui risuonava il Verbo di un marxismo immaginario, fra noi viziati figli di borghesi. E il laboratorio di scienze, pieno di alambicchi e di strani complicati strumenti per misurare ogni fenomeno fisico: il luogo, mi pareva, dove finalmente la Verità era una e incontestabile, mentre nelle ore di filosofia ondeggiava, vacillava, evaporava come nebbia. Marina Corradi. Tempi.

Con la cuoca che viene da Cuzco è ruvido e a tratti violento («possibile che le sbagli tutte? Sembri una peruviana...»), ma lei ride e si capisce che per lui si butterebbe nel fuoco. Walter Siti, Exit strategy. Rizzoli.

Sarà per via della pianura che invoglia a mangiare lo spazio, sarà perché il cavallo è passato di moda, da noi, in Emilia, la motocicletta ha sempre avuto un grande fascino. Tanto che, verso i 70, accanto alla vecchia auto lucida come se fosse appena uscita dalla fabbrica, mio nonno Enrico riservava il posto d’onore alla Guzzi. Che avrebbe inforcata ancora, se la nonna non avesse vigilato, per impedirgli quella che definiva «una stupidaggine che non finisce mai». Umberto Cavezzali, Gente del Po. Camunia.

Avevo scelto medicina per diventare psichiatra, perché, da tempo, avevo deciso per uno dei tre mestieri che hanno vissuto alla pari al mio interno e che si riducevano a uno solo che li comprendeva tutti: l’attore, il giornalista e lo psicanalista. Si riducevano a uno solo, dal momento che il mestiere era poi sempre lo stesso: far finta di essere gli altri, mettermi con i piedi nelle scarpe altrui, uscire dal mio corpo e dalla mia mente per assumere le sembianze di chi mi sta intorno, rubarne il copyright, copiare la partitura, rielaborarla e sgomitolare i festoni del Dna del prossimo, per sventrarli, clonarli, disporre le loro budella sotto la canna della mia fontana e spulciare i codici segreti dei loro modi di essere e di pensare. Paolo Guzzanti, I giorni contati. Baldini&Castoldi.

Ho lasciato l’Europa anni fa. Me ne sono andata. Sono scappata dal rumore, dalla puzza, dall’inquinamento, dai vicini maldicenti, dai parenti-serpenti, dall’ipocrisia, dai pettegolezzi, dalle mode, dal cancro del cemento inarrestabile. Anche se quello dai cui scappavo, in realtà, era me stessa. Ma questo, allora, non lo avevo capito. Piera Graffer, La maliarda. LoGisma.

Bob Dylan non l’ho creato io. Bob Dylan è sempre stato qui. È sempre esistito. Quand’ero un bambino, c’era Bob Dylan. E prima che nascessi, c’era Bob Dylan. Bob Dylan in un’intervista su Rolling Stone del 1978.

Nessuno è infallibile lo dicono soprattutto i falliti. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 22/11/2014