Peter Foster, il Venerdì 21/11/2014, 21 novembre 2014
JOHN GRISHAM – UNO SCRITTORE UN PO’ TRISTE E SCONOSCIUTO
CHARLOTTESVILLE. Per essere uno dei grossi calibri più grossi del mondo editoriale, uno scrittore che ha venduto 275 milioni di libri, ha sbancato il botteghino negli anni 90 con gli adattamenti hollywoodiani delle sue opere e che perfino ora, al tramonto (relativo) di una carriera venticinquennale, guadagna oltre 12 milioni di euro all’anno, John Grisham lascia piuttosto sorpresi.
Non lo incontriamo in uno sciccoso studio cinematografico di Los Angeles o nella suite di un hotel di tendenza newyorchese, ma sotto la pioggia in una strada di Charlottesville, Virginia. Siamo nella provincia opulenta americana, una città di piccole dimensioni con edifici in mattoni rossi stile coloniale e un po’ di storia per darsi un tono (due presidenti americani, Jefferson e Monroe, venivano da qui). E l’uomo che si affaccia a passo felpato da dietro l’angolo, con scarpe coi lacci, pantaloni sportivi color cachi e una camicia a scacchi aperta sul collo, sembra perfettamente integrato nel contesto.
«Spiacente, ragazzi», dice indicando il citofono, che avevamo suonato inutilmente «quell’affare è da un po’ che non funziona, passate da questa parte».
Niente addetti stampa, niente portaborse, nemmeno un assistente per recuperare i suoi visitatori. Grisham non si è fatto la barba, e non è chiaro se il sottile strato di peluria che gli ricopre il viso (molto più brizzolato ora che si avvicina al sessantesimo compleanno) sia voluto o meno. È così rilassato, cosi strabordante di ospitalità espansiva del vecchio Sud (Grisham è nato in Arkansas e ha esercitato la professione legale in Mississippi), che potrebbe anche semplicemente essersi dimenticato di radersela negli ultimi due giorni. È la vita di uno scrittore, dopo tutto, ed è evidente che è una vita che gli piace ancora.
L’ufficio-loft è grazioso, ma per nulla pretenzioso, come lui. Alle pareti sono appesi poster dei film tratti dai suoi libri (Il socio, Il rapporto Pelican, Il cliente), ma l’impressione è che non sia stato lui ad appenderli: non ha l’aria di un uomo che sprecherebbe tempo a costruirsi un mausoleo in proprio onore.
Fra gli oggetti di interesse c’è una foto di Grisham con Stephen King, qualche istantanea in bianco e nero di uno dei suoi film e perfino una porta d’ufficio presa dal set del Cliente, con la scritta «Avvocato Reggio Love» (il personaggio interpretato da Susan Sarandon) incisa in lettere dorate sul vetro smerigliato. C’è anche una vecchia foto incorniciata del 1993 che mostra una fila di fan che si snoda intorno all’isolato di una libreria di Memphis per farsi autografare una copia del romanzo. Sotto c’è scritto: «Sono sopravvissuto alla fila per John Grisham».
Erano i tempi d’oro, naturalmente, quando la gente faceva la fila per il nuovo romanzo di Grisham come oggi fa la fila per l’iPhone. Grisham riconosce che quel mondo sta svanendo: sia le librerie, che Amazon a detta sua, stanno estromettendo dal mercato, sia i film sui suoi libri, che non si fanno più. Ce ne sono cinque in lavorazione, spiega, ma i finanziamenti finiscono sempre per svanire.
Ogni volta che pubblica un nuovo libro c’è una grande fiammata di interesse, ma poi si affievolisce mese dopo mese, fino a che il telefono smette di squillare. Non ha più tempo da perdere su queste cose, ormai. «Hollywood non vuole più fare quel genere di film», dice con una punta di rammarico.
Così sembra Grisham oggi: sinceramente grato per il suo colossale successo, ma consapevole, come un campione sportivo al tramonto, che il mondo è andato avanti. Ha un account Twitter, ma solo perché il suo editore glielo ha fatto aprire. «Ho detto pubblicamente che non riesco a immaginare nulla di peggio che fermarmi più volte al giorno per condividere i miei pensieri e le mie attività con una massa di persone, e non me ne frega niente di sapere cosa state facendo voi, perciò lasciatemi in pace. L’ho detto pubblicamente e Twitter non ha gradito. Ma ora ho un account Twitter. Non ci faccio niente».
Più o meno allo stesso modo vede l’ascesa di Amazon e del libro elettronico. Equipara Jeff Bezos ai robber barons dell’Ottocento, che creavano monopoli per schiacciare la concorrenza. «Amazon fa scendere i prezzi e dice: Guardate quanto siamo bravi, facciamo prezzi bassissimi e vendiamo di più, e tutti fanno più soldi. Io gli vorrei rispondere: Guardate che avevo una gran bella carriera già prima di Amazon».
«In sostanza vogliono far mori tutti gli editori», continua, anche se ammette che i suoi libri continuano a vendere più che bene. L’ultimo, L’ombra del sicomoro, sequel tardivo del suo primo romanzo, Il momento di uccidere, ha venduto un milione di copie in edizione cartacea e un altro milione in edizione elettronica. Sono numeri che quasi tutti i romanzieri non si sognano neppure, ma non è niente rispetto ai bei tempi andati.
«Il mercato si è ristretto. C’è una tendenza al ribasso che va avanti da quindici anni. È questa la direzione in cui andiamo», dice.
Nell’epoca di Reddit e Twitter, la soluzione per riaccendere la fiamma potrebbero essere i romanzi a episodi? Grisham è un grande appassionato di Charles Dickens, le cui serializzazioni un tempo erano popolari quanto gli iPhone e i suoi romanzi, ma non è ottimista. Dice che il suo editore ci ha provato, qualche titolo fa, ma non ha funzionato. «Ho ragionato con Stephen King su questa cosa, ma ai tempi di Dickens la gente aveva soltanto i libri. Oggi perde interesse troppo in fretta».
Torna a battere su questo tasto, in chiave minore, con le sue morbide tonalità del Sud odorose di estati ormai passate. Non significa che Grisham sia scontento della sua sorte: anzi, il suo vero fascino sta proprio nel fatto che è ancora entusiasta della fortuna che ha avuto nel suo percorso di vita, da avvocatucolo di provincia che faticava a sbarcare il lunario a romanziere multimilionario con jet privato. «È Punico giocattolo di cui non mi voglio privare», dice con un sorriso. (Ha delle proprietà in Mississippi e in Florida, ma niente yacht. «Non sono uno da barche», dice. «Mi viene il mal di mare anche quando sto sotto la doccia».)
Ma non è per i soldi che Grisham continua a sfacchinare in questo modo, alzandosi alle sette ogni mattina e scrivendo fino all’ora di pranzo per poter consegnare il nuovo romanzo. È qualcosa di più semplice. «Se non scrivessi, cos’altro farei? Cercherei un altro lavoro? Mi troverei un hobby?».
Il processo comincia ogni anno il 2 gennaio, quando Grisham delinea la trama di un nuovo romanzo, e finisce il 1° luglio, quando consegna il manoscritto che verrà pubblicato in ottobre. Gli domando se, quando aveva cominciato a fare soldi sul serio, non fosse mai stato tentato da Hollywood, o dal circuito dei party letterari, dal lustro che deriva dall’essere un personaggio universalmente noto. I set cinematografici sono «noiosi», mi dice, e la gente che lavora nel cinema ancora di più. Quello che fa Grisham è scrivere.
Il che ci conduce alla politica, perché è la politica nel senso più ampio – le relazioni tra le razze, la criminalità, il sistema giudiziario – che nutre l’appetito di Grisham per una storia. «In un’altra vita ero un avvocato di provincia che rappresentava persone che facevano causa a compagnie assicurative, banche o grandi aziende», dice. «È lì che mi sono fatto le ossa. E quando fai una cosa del genere ti rendi conto quanto sia importante la politica».
Il nuovo romanzo, Gray Mountain, si inserisce in questa tradizione. Racconta la storia di un avvocato di neanche trent’anni che lavora in una grande città e viene licenziato dopo il tracollo della Lehman Brothers, e che poi riscopre la sua anima battendosi per la gente comune contro le grandi compagnie carbonifere che inquinano le campagne della Virginia. È il Grisham più puro, pieno di dicotomie manicheistiche e personaggi tutt’altro che marmorei, ma dopo più di trenta romanzi la costruzione è elegante e la lettura scorrevole.
Grisham è anche politico, con la P maiuscola: è un democratico con tanto di tessera, che è stato per due mandati deputato statale nel Mississippi, negli anni 80, e ha sostenuto Hillary Clinton nel 2008. Dice di aver organizzato una raccolta fondi per lei in questo stesso ufficio, ma anche qui trapela una certa spossatezza. Dice che vuole scrivere un romanzo su Washington («C’è materia per un romanzo bello corposo, lì»), ma i fattori che fanno della politica nazionale un buon soggetto – il denaro, la cupidità, le lobby e le campagne elettorali perpetue – sono gli stessi che hanno usurato la sua passione per la politica.
«È la politica americana, il denaro dilaga, corrode. Dovremmo chiamarla corruzione», dice. «Comprano voti, è questo che fanno. Ma è tutto legale. È un sistema marcio e ogni anno diventa peggio».
Vista la sua ricchezza, i politici a caccia di fondi bussano spesso alla porta di John Grisham. Dice di essere già stato avvicinato da Ready for Hillary, il gruppo di sostegno preelettorale per la signora Clinton, ma che li ha mandati a quel paese. È troppo presto. «Non se ne può più di questa gente», aggiunge. «C’è una sorta di sfinimento del donatore».
Ciononostante, resta convinto – come già nel 2008 – che Hillary sarebbe un ottimo presidente, a differenza di Obama che secondo Grisham era «troppo inesperto» per quel compito e che è stato eletto, in linea con la cultura moderna ossessionata dalla celebrità, prima che fosse pronto per il palcoscenico più importante. «È stata la fiera del dilettante fin dal principio. Ho votato per lui due volte. D’altronde, voto democratico. Ma devo dire che non ha fatto molto per dare speranza».
È anche per questa delusione verso il mondo reale che Grisham si è allontanato dal mondo in chiaroscuro della politica reale ed è tornato alla narrativa, dove può separare nettamente il bianco dal nero. Ha già individuato un obbiettivo per il suo prossimo romanzo, ci rivela, ispirandosi alla recente raffica di casi di adolescenti neri ammazzati da poliziotti bianchi.
La trama è ancora in gestazione, ma Grisham dice che scaverà a fondo nei difetti di un sistema giudiziario che produce un numero di carcerati cinque volte superiore a quello della Gran Bretagna e di gran parte degli altri Paesi sviluppati. Vuole guardare dentro un sistema che «tratta in modo diversissimo, per lo stesso reato, un adolescente nero e un adolescente bianco. Ci sono sempre le droghe. In questo momento abbiamo un milione di neri in prigione per reati non violenti legati alla droga. Un milione».
Lo dice con emozione sincera. Questa cultura dell’incarcerazione di massa è una fregatura per troppe persone, sostiene Grisham: dagli adolescenti neri a gente che commette reati non violenti da colletti bianchi, come Martha Stewart, fino a uomini bianchi della sua età che una volta hanno bevuto un bicchiere di troppo e si sono messi a guardare pornografia minorile (queste ultime osservazioni gli hanno attirato condanne unanimi questa settimana, e successivamente se ne è scusato).
«Moltissime di queste persone ricevono condanne pesanti che non si meritano», dice citando l’esempio di un «tizio simpatico» dei tempi dell’università che si è fatto tre anni dopo essere stato beccato dalla polizia canadese in un’operazione sotto copertura. «Non hanno fatto del male a nessuno, capisce? Meritano una punizione, ma dieci anni in prigione! E sono tantissimi a essere in questa situazione. Ci sono tantissime persone che hanno commesso reati sessuali e vengono messe tutte nello stesso carcere. Come se fossero una massa di pervertiti, o che so io. Sono migliaia. Stiamo perdendo la testa con questa cultura carceraria».
È una posizione che forse vent’anni fa non avrebbe suscitato grande scalpore (Grisham si considerava perfettamente ragionevole): ma come è accaduto per i libri tascabili, la politica del grande capitale e gli studi cinematografici hollywoodiani, per sfortuna di John Grisham il mondo è andato avanti.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Poter Poster
TheDaily Telegraph/The Interview People