Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  novembre 21 Venerdì calendario

IL CORRETTORE È UNA MACCHINA PER PRODURRE TANTI ERRORI


Dagli errori vintage delle scorse puntate a quelli contemporanei. Un bel giorno alcuni abituali twittatori (@suzukimaruti, @matteobordone, @lucasofri) stanno discutendo se un certo uso lessicale (dire «decade» intendendo «decennio», anziché «dieci giorni») sia corretto anche in italiano o se sia solo un anglismo. Qualcuno interviene opinando che è come la «palude» che si può dire anche il «padùle» (toscanismo, ed esempio già gaddiano): «decade = decennio» non è sbagliato ma è una variante lecita. A questo punto (@suzukimaruti definisce lo scambio di consonanti che va da «palude» a «padùle» come una «metastasi». Io intervengo dicendo che è una «metatesi» e lui mi risponde che è colpa del correttore dell’iPhone. (Anche «metastasi» per «metatesi» è un uso gaddiano: ma in quel caso, è consapevole, e non erroneo).
Su correttori ortografici e simili la letteratura è già vasta, dai tempi del T9, quando l’«ernia» diventava «droga». Ora mi viene in mente che chi li usa può avere due atteggiamenti. Primo, di base: che bello, non devo più preoccuparmi di come si scrivono le parole! Me lo dice la macchina! (Analogamente a quando la beata innocenza ci faceva esclamare: «È vero, l’ha detto anche la televisione!»). L’atteggiamento evoluto è invece quello di chi conosce i margini d’errore dei dispositivi e sa reprimere l’impulso di inviare sino a che non ha riletto il testo con calma, emendandolo dagli emendamenti maldestri suggeriti in automatico, il primo atteggiamento si riassume con l’anagramma «Correttore = terrò certo»: terrò per certo tutto quello che mi suggerirà. L’avviso contrario si riassume con l’anagramma: «Correttore = certo t’errò».
Un aneddoto. Mi considero un privilegiato perché quando scrivevo ancora a macchina, e stavo decidendo di passare al computer, Lorenzo Enriques, editore illuminato e conoscitore anche di informatica, mi spiegò come funzionavano i correttori automatici e mi disse: «Sono macchine per produrre errori». Diffido da allora (1993). È stato un imprinting. Ci ripenso ogni volta che sto per dare l’imprimatur.