Alessandro Codegoni, il Venerdì 21/11/2014, 21 novembre 2014
EFFETTO SERRA: CI SI SONO RISTRETTI I CAMOSCI E GLI STAMBECCHI
Non soffrono solo gli orsi bianchi. Sulle Alpi il riscaldamento globale sta colpendo con la stessa durezza registrata nell’Artico, con un aumento delle temperature di quasi un grado in soli trenta anni, arretramento dei ghiacciai e diminuzione delle precipitazioni nevose. E la fauna alpina ne risente. Come dimostra la ricerca condotta da Tom Mason e dai suoi colleghi dell’Università di Durham, in Inghilterra, che hanno esaminato le registrazioni del peso di 10.455 camosci, Rupicapra rupicapra, di circa un anno di età, cacciati in Trentino fra il 1979 e il 2010, scoprendo che gli esemplari presi più recentemente sono del 25 per cento più leggeri rispetto a quelli di trent’anni fa.
«Anche se non è la prima volta che si rileva, in pesci, uccelli o mammiferi, una diminuzione delle dimensioni corporee a seguito del riscaldamento globale, quello che è stato scoperto nel caso dei camosci è scioccante per la velocità e l’entità del cambiamento» dice Mason.
Ma perché i camosci stanno dimagrendo? Secondo i ricercatori inglesi, quando fa troppo caldo queste agili capre di montagna, capaci di arrampicarsi anche sui pendii più scoscesi e di correre fino ai cinquanta chilometri orari, diventano abuliche, preferendo riposarsi all’ombra, piuttosto che nutrirsi. Questo ridurrebbe la crescita dei giovani, «Ma forse c’è un altro motivo» dice Bruno Bassano, responsabile del servizio scientifico del Parco nazionale del Gran Paradiso. «In montagna la fine dell’inverno arriva oggi con 15-20 giorni di anticipo rispetto agli anni Ottanta e questo fa sì che quando i piccoli camosci vengono svezzati dalle madri, non trovino più l’erba al massimo del suo potere nutritivo, ma piante già in parte asciugate dal calore».
Anche se i giovani camosci, per passare l’inverno successivo, devono essere ben nutriti, Bassano non pensa però che il loro dimagrimento metta in pericolo la specie. «I camosci sono molto adattabili, con centinaia di migliaia di esemplari sparsi fra Polonia, Balcani, Alpi e Pirenei, che vivono fra il livello del mare e l’alta montagna. Hanno un’altissima diversità genetica e sono sicuro che troveranno il modo di adattarsi anche a un clima più caldo. Ci sono invece altre specie, come la pernice bianca e la lepre alpina, rimaste “intrappolate” sulle montagne dopo la fine dell’era glaciale, che soffrono molto di più per il caldo crescente».
A essere minacciato è anche il simbolo stesso del Parco del Gran Paradiso, lo stambecco, o Capra ibex. «È una specie molto meno adattabile del camoscio e con una diversità genetica molto ridotta, essendo scampato per poco all’estinzione nel XIX secolo. Negli anni Ottanta c’erano cinquemila stambecchi nel parco, oggi sono tremila. Questo dipende, paradossalmente, dal fatto che il riscaldamento globale rende la vita d’inverno di questi animali meno dura, facilitando la sopravvivenza delle femmine più vecchie. Ma da queste, abbiamo scoperto, nascono piccoli più deboli del normale, che hanno difficoltà a superare l’inverno successivo. Per fortuna, la specie sembra potersi riprendere rapidamente: sono bastati tre inverni nevosi di fila, per far risalire il loro numero di trecento esemplari».