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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

MA SIAMO PROPRIO SICURI CHE LA SCRITTURA A MANO SIA DESTINATA A SPARIRE?


Nell’ottobre del 1942, battendo a macchina una lettera destinata a una coppia di amici, John Cheever esordiva così: «Scrivervi a mano non ha molto senso perché nessuno ha mai decifrato la mia calligrafia». Non diceva per dire. La sua calligrafia non rendeva giustizia a ciò che scriveva. Era l’esatto contrario della sua prosa limpida: un intrico di segni illeggibili. E illeggibile parrà ai nostri discendenti anche la calligrafia di tutti noi. Lo dicono gli esperti, la scrittura a mano è destinata alla completa estinzione. Nel giro di cento anni, agli occhi dei comuni mortali, il nostro corsivo risulterà più oscuro dei geroglifici. Ma andrà davvero così? L’esperienza insegna che è sempre bene diffidare di certi vaticini. Negli anni Sessanta, mentre russi e americani si sfidavano a suon di missili e missioni spaziali, gli esperti annunciavo che nel 2000 avremmo trascorso le vacanze sulla Luna. Il terzo millennio è iniziato già da un po’ e il tempo libero lo passiamo invece su Facebook e navigando in internet. Chi avrebbe mai previsto una simile digitalizzazione della vita quotidiana?
Tastiere e schermi tattili sono ormai più diffusi di quanto non lo fossero penne e quaderni in passato. Purtroppo è proprio l’inaspettata rapidità della mutazione a rendere credibile l’imminente scomparsa della scrittura a mano. Dobbiamo dunque rassegnarci? David Poster Wallace, scrittore non meno grande di Cheever, ha sempre preferito la penna alla tastiera. Ciò che scriveva a mano gli sembrava di gran lunga migliore di ciò che scriveva al computer. La sua adorazione per le penne era tale da considerarle alla stessa maniera in cui i giocatori di baseball considerano le mazze. Non tutte le penne erano uguali, per lui. Ce n’erano di speciali. Penne con le quali la scrittura pareva fluire da sé. «Penne da orgasmo», così le chiamava rendendo perfettamente l’idea. Un’idea per nulla bislacca. Anche le neuroscienze ci dicono che, scrivendo a mano, memoria e concentrazione aumentano. La perdita maggiore è tuttavia un’altra. Pensiamo ai bambini sui banchi di scuola. Con penne e quaderni non imparano soltanto a scrivere. Sviluppano una personalità. Pur apprendendo un medesimo linguaggio, ognuno di loro definirà un proprio stile, una calligrafia che si distinguerà tra mille, non meno unica di un’impronta digitale. E proprio in questo consiste il lato più prezioso della calligrafia: possiamo mentire con le parole che scriviamo, ma il modo in cui le scriviamo rivelerà sempre chi siamo.
Un dimenticato film di guerra degli anni Quaranta mostra alcuni soldati tedeschi che si infiltrano nella campagna inglese spacciandosi per ingegneri di Sua Maestà. Vengono scoperti da un contadino insospettito dal fatto che scrivano il 7 col trattino orizzontale, alla maniera dei continentali. La calligrafia ci smaschera come mai nessuna tastiera sarà in grado di fare. Perché rinunciarvi dunque? In fondo nemmeno Steve Jobs vi rinunciò del tutto. Ammise infatti che mai avrebbe avuto l’idea di inserire nel Mac diversi tipi di caratteri se al college non avesse frequentato un corso di calligrafia.

Tommaso Pincio, scrittore e traduttore