Roberto Bertinetti, il Venerdì 21/11/2014, 21 novembre 2014
JACK LO SQUARTATORE ERA UN COIFFEUR E SCRIVEVA COSÌ…
LONDRA. Sarebbe un barbiere di origine polacca l’omicida seriale che nell’autunno del 1888 uccise a Londra cinque prostitute. Si chiamava Aaron Kosminsky, viveva con due fratelli e una sorella a Greenfield Road, a breve distanza dai luoghi dove furono commessi gli omicidi, e morì in manicomio oltre trent’anni dopo i fatti. A sostenerlo è Russell Edwards, un investigatore dilettante come lui stesso di definisce, in un libro uscito nel Regno Unito (Naming Jack the Ripper, Svelando l’identità di Jack lo Squartatore), proposto dalla Pan Macmillan. L’ipotesi di Edwards si fonda sulle analisi delle tracce di Dna recuperate da uno scialle appartenuto a Catherine Eddowes, la quarta vittima, esaminate da Jari Louhelainen, docente di biochimica all’università di Liverpool.
Edwards racconta di essersi appassionato al caso molto tempo fa senza però trovare nuovi elementi per far luce sul mistero sino al 2007, quando durante un’asta acquistò lo scialle rinvenuto accanto al cadavere da Amos Simpson, un sergente di Scotland Yard, che poi ne fece dono alla moglie. La signora, inorridita per le macchie di sangue, non lo pulì mai e neppure lo indossò, abbandonandolo in un armadio, dove gli eredi lo hanno conservato a lungo prima di scoprirne la provenienza e di metterlo in vendita. Dopo essere entrato in possesso dello scialle, Edwards si è rivolto a Jari Louhelainen per cercare di capire a chi appartenessero le macchie di sangue.
«Appena le impronte genetiche hanno offerto una conferma scientifica che erano di un uomo e di una donna mi sono messo alla ricerca dei discendenti di Catherine e dei sospettati dalla polizia» scrive. «Aaron Kosminsky era in quell’elenco insieme ad altre persone, anche se i detective di Scotland Yard non trovarono mai le prove indispensabili per procedere a un arresto. Da Liverpool è giunta la risposta per chiarire il mistero: sullo scialle c’è l’impronta genetica del barbiere che abitava nel quartiere di Whitechapel. Impossibile, a questo punto, continuare a nutrire dubbi sull’identità dell’omicida».
Sui risultati dell’indagine di Edwards non tutti concordano. In primo luogo perché, si afferma, non esiste alcuna certezza che il sangue dell’immigrato polacco sia finito sullo scialle di Catherine proprio la notte del 30 settembre 1888, quando la donna venne trovata a Mitre Square. Le macchie potrebbero infatti avere una origine precedente, nonostante Edwards neghi questa eventualità. Inoltre, secondo Alee Jeffreys, uno dei maggiori esperti inglesi di biochimica, «sarebbe certamente utile avere qualche notizia in più sui metodi usati dal collega di Liverpool al fine di escludere con certezza che il Dna non sia stato contaminato nel corso degli anni, un’ipotesi certamente non remota, che impedirebbe conclusioni definitive».
A dispetto delle prove esibite da Edwards nella sua ricostruzione, un margine di dubbio dunque resta e il caso non pare del tutto chiuso.
Appena pochi mesi fa, del resto, Patricia Cornwell, maestra americana del thriller, aveva proposto un’ipotesi diversa, sempre fondata sull’analisi del Dna. A giudizio della Cornwell, il folle che mutilò e squarciò i cadaveri di cinque donne nelle strade malfamate dell’East End londinese era Walter Sickert, un membro dell’alta società, tra i pittori più apprezzati dell’epoca, amico della famiglia reale.
La scrittrice americana è arrivata a Sickert con l’aiuto di un ex detective di Scotland Yard che ha avuto accesso agli archivi della polizia dove sono conservate le quattro lettere spedite con certezza dall’omicida a chi indagava sui delitti, oltre alle centinaia inviate da mitomani. Una di queste lettere, sostiene la Cornwell, ha la carta della stessa rarissima filigrana usata dal pittore per la sua corrispondenza. Naturalmente potrebbe trattarsi solo di un caso, ma Patricia Cornwell si è spinta oltre nella sua indagine, di cui darà ampio conto in un libro in uscita tra pochi mesi: il Dna prelevato dal francobollo è lo stesso dei discendenti dell’artista.
Poco convincente, però, risulta il movente di Sickert nella ricostruzione della scrittrice: all’origine di tutto ci sarebbe la gravidanza, seguita da un aborto, di una avvenente signora di Whitechapel che avrebbe avuto rapporti intimi con l’erede al trono. Di qui l’esigenza di soffocare ogni traccia dello scandalo, eliminando chi era a conoscenza della storia. Ovvero le cinque prostitute. Sickert sarebbe stato un sicario. Ipotesi sulla quale non ci sono però prove.
Il volume di Edwards offre invece un motivo plausibile della ragione per cui la catena di efferati delitti si interruppe all’improvviso in poche settimane. Aaron Kosminsky, nel novembre del 1888, dopo aver picchiato i familiari, alcuni vicini di casa ed essere uscito in strada senza abiti, fu infatti internato in manicomio e non venne mai più liberato. Forse, ipotizza Edwards, anche per l’intervento di Scotland Yard, che lo sospettava ma non aveva prove per incriminarlo. E così si accontentò di vederlo rinchiuso per sempre, in modo che non potesse continuare a colpire.