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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

ANGELO GAJA: «IO, ARTIGIANO DEL VINO, ASSETATO DI QUALITA’»

I grandi vini hanno spesso il volto e il carattere di chi li fa, i colori e i profumi dei paesaggi che li hanno visti nascere. Se vi capitasse di incontrare Angelo Gaja nel suo «Chateau» di Barbaresco capireste quanto può essere vero!
A Barbaresco, i Gaja, famiglia di antiche origini catalane, hanno vigne e cantina al 1859. Ora quel vino ha il volto e il carattere di Angelo Gaja, l’uomo che ne ha fatto un’icona della nostra qualità nel mondo. Angelo aveva 14 anni, quando il padre Giovanni gli versò il primo dito di quello spettacolare figlio delle uve Nebbiolo. La nonna Clotilde Rey si oppose con decisione: «É troppo giovane! Se comincia così, da grande diventerà un ubriacone...». Nelle Langhe le donne contano. Di solito decidono. Ma quella volta il papà trovò le 5 parole giuste: «Chi beve bene vive bene». La nonna si convinse e Angelo Gaja ebbe il suo battesimo con quel vino che lo ha accompagnato negli ultimi 60 anni. Quel vino che lui ha trasformato in icona dell’enologia italiana.E quella frase è come il titolo di un film sulla sua vita.
Angelo Gaja, 74 anni, è il più carismatico e prestigioso produttore italiano. Giacomo Tachis, l’enologo bibliofilo che ha «inventato» il Sassicaia, ha detto di lui «… è il Mozart dei vini... tutti gli altri sono Salieri....». Entrare nella sua cantina, che si allarga sotto alla pelle di Barbaresco, è un privilegio per pochi, parlare a lungo con Angelo lo è ancora di più. Uomo di intelligenza brillante e profonde radici culturali, Gaja sfugge da ogni mondanità e ha dell’omologazione la stessa considerazione che ha della grandine... Si sottrae, come facevano Lucio Battisti e Steve Jobs, aumentando il valore delle apparizioni. Così per i suoi vini che non sfilano nelle fiere, non schiacciano l’occhio a nessuno, ma sono contesi dalle più qualificate cantine del mondo.
Lei continua a definirsi un artigiano.
«Certo, perché la qualità sta nella cura dei dettagli e soltanto un artigiano può lavorare con passione e curare ogni passaggio del percorso produttivo – dice Gaja -. Non basta una vita per sapere e conoscere e io sono ancora affamato di conoscenza. Credo che il punto di arrivo sia un grado di competenza che ti consenta di diventare maestro e quindi trasmettere e condividere il saper fare».
Lei però fa un vino per pochi.
«Lo prendo come un complimento. Pensi che mio nonno aveva fatto stampare biglietti da visita con su scritto: Angelo Gaja vini di lusso e da pasto… Noi non abbiamo mai voluto fare vini di massa. Quello che mi interessa è l’assidua, determinata e appassionata ricerca della qualità».
In ogni suo discorso compare la parola passione.
«E’ la benzina del mio motore. E’ quello che mi/ci salva anche nei momenti di crisi. In quei casi ha la funzione del tergicristalli. Non fa smettere di piovere, ma ti fa andare avanti».
Ha dedicato un vino a sua nonna Clotilde Rey, uno chardonnay che ha elevato la percezioni dei vini bianchi italiani.
«Il Gaia&Rey, porta il nome di mia figlia, nata nell’anno in cui ho impiantato quel vigneto, è il cognome della nonna alla quale Renzi e Farinetti devono la frase slogan dei 4 “fare”: «Fare, saper fare, saper far fare e far sapere». Possono continuare ad usarla ma sappiano che il copyright è di nonna Clotilde».
Al ristorante ordina regolarmente vini non suoi. Chi le piace tra i gli altri produttori?
«E’ vero e pensate che mi criticano anche per questo. Dicono che lo faccio per non pagare un conto troppo caro… Restando in Langa mi piacciono i vini di Roberto Conterno, in particolare il Cascina Francia. Ma anche quelli di Bruno Giacosa, Sandrone, Clerico, Voerzio, Scavino, Ratti…».
Lei ora fa vini anche a Bolgheri, in Toscana (Ca’ Marcanda) e a Montalcino (Brunello Santa Restituita). Qual è il “suo” vino prediletto?
«Il Barbaresco, il vino che bevo da quando ero ragazzino e con il quale ho un legame ancestrale. Tra le mie etichette amo il Costa Russi, la vigna dove oltre a qualche cipresso che richiama gli uccellini ho messo anche alcune arnie di api».
La Ferrero, Slow Food di Petrini, il papà di Eataly Farinetti e i grandi produttori di Barolo, Barbaresco… Perché la Langa è così ricca di eccellenze eno-gastronomiche?
«Intanto perché qui c’è una materia prima unica. Pensate al Nebbiolo, ma anche alla nocciola tonda e gentile. E non dovete dimenticarvi che questa è la terra di Cavour, di Luigi Einaudi, culla di quei principi liberali che hanno stimolato e incentivato il senso imprenditoriale e il rispetto massimo per il denaro pubblico e l’impegno . Cavour è nato ricco ed è morto povero.... La Ferrero è un modello di azienda famiglia, studiata nel mondo, per l’attenzione che rivolge ai dipendenti».
Lei è una star del vino, ma il questo momento impazzano gli chef. Qual è il suo preferito?
«Scelgo una donna: Nadia Santini del ristorante Dal Pescatore di Canneto sull’Oglio. In certi piatti raggiunge la perfezione lasciando una traccia della sua anima. Solo le donne… Mi piacciono però anche Andrea Berton e Gian Piero Vivalda».
Il 2015 sarà l’anno dell’Expo. Quali sono le sue aspettative?
«Sono abbastanza d’accordo con Petrini, Ciotti e Olmi: spero che la Fiera sappia recuperare i valori che fanno riferimento al titolo ambizioso: “Nutrire il pianeta”. Spero che sappia dare contenuti veri, che sia un momento alto di riflessione altri, altrimenti sarà un’occasione persa».