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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

DALLE FIGI ALL’AZZURRO

La barba appena accennata, l’aria da buono, l’emozione che si legge negli occhi: l’esordio di Samuela Vunisa è la novità (grande e unica) dell’Italia che domani affronta il Sudafrica. Il 26enne equiparato figiano giocherà n. 7, ruolo che, contro Samoa e Argentina, è stato molto ben interpretato da Simone Favaro. Sam, 113 kg per 189 cm, soprattutto terza centro, è alla quarta stagione in Italia, tutte trascorse sotto le cure tecniche di Andrea Cavinato: le prime due a Calvisano (con tanto di scudetto al debutto), le altre – quella in corso compresa – con le Zebre. Mezzi fisici prepotenti, è un ottimo ball carrier, con una spiccata propensione offensiva: nei suoi «campionati» italiani ha rispettivamente realizzato sette, dodici, sei e, ora, due mete (in nove partite). Pecca di continuità, ma la sua presenza si fa sempre sentire.
Sam, se l’aspettava?
«Ci speravo, è un’occasione da cogliere a due mani».
Giocherà in uno stadio esaurito da oltre 30.000 spettatori...
«Padova vive di rugby, l’ho capito le due volte che ci sono venuto con Calvisano. Un po’ come le Figi».
Quando le ha lasciate?
«Nel 2005, per giocare e studiare in Nuova Zelanda, al Whanganui College, poco sopra Wellington. Avevo 17 anni: ne ho fatti tre lì e poi, senza quasi spostarmi, altrettanti nel Taranaki, in Npc».
Come è arrivato in Italia?
«Dean McKinnel, d.s. dei bresciani, s’è fatto avanti col mio agente. Ho subito accettato. In Italia c’ero già stato in vacanza e in Europa, in Irlanda e in Galles, con le Nazionali giovanili figiane per i Mondiali di categoria».
Non è finito in una metropoli...
«Il villaggio del distretto di Rariraki dal quale provengo è ben più piccolo di Calvisano».
Cosa le piace del suo nuovo Paese?
«Tutto, in particolare la cucina. La carbonara e le specialità di Pepen, locale di Parma: la carciofa, il wurstel condito e lo spacca».
Cos’altro ama?
«Viaggiare, il cinema e dormire. Il riposino post-pranzo è obbligatorio».
Con l’inno di Mameli come la mettiamo?
«Andrea Manici, il mio compagno di stanza, non ne può più: mi metto in testa la cuffia e lo canto all’infinito. Ascolto solo quello».
Torna spesso a casa?
«Uno o due volte all’anno. La prossima sarà speciale: in dicembre sposerò Vulase, ha la mia età e fa pallavolo. E’ venuta diverse volte a trovarmi. Le ho appena detto che giocherò: è più felice di me».
La sua famiglia vive ancora lì?
«Papa, che ha giochicchiato e mi seguiva da vicino, è morto nel 2009. Restano mamma e mia sorella. Quando farò loro sapere che sono titolare, piangeranno di gioia».
Paura del Sudafrica?
«Rispetto: serviranno testa e cuore. Ovvero unità di intenti, lavoro di squadra e disciplina».
Ma per lei giocare n. 7 o 8 è lo stesso?
«Giocherei anche 1 o 15, pur di debuttare. E poi nelle Zebre sono già stato flanker».
Garantirà i placcaggi di Favaro?
«Farò il massimo, anche se preferisco avere la palla in mano. Ma con al fianco Sergio Parisse, che stimo da sempre, sarà più semplice. Anche se gli Springboks, proprio in terza linea, da Vermeulen in giù, sono mastini».
Sa che in azzurro è il quindicesimo uomo del Pacifico e il secondo figiano dopo Vosawai, suo pari ruolo al quale in qualche modo ha sottratto il posto?
«Manoa, quando è arrivata la convocazione, è stato tra i primi a congratularsi».
Sa anche che la sua promozione, subito dopo quella di Kelly Haimona, apertura neozelandese, non piacerà a chi non vuole gli «stranieri» in Nazionale?
«E’ un non problema, è così ovunque: dagli All Blacks all’Australia, dalla Francia all’Inghilterra. Non importa dove si è nati, conta l’impegno profuso per arrivare. Oggi mi sento molto italiano ».