Leonardo Maisano, Il Sole 24 Ore 21/11/2014, 21 novembre 2014
LA VIA DI FUGA CHE ALLONTANA L’INGHILTERRA DALL’EUROPA
Una volta Zurigo era famosa per gli "gnomi", ora sforna scienziati impegnati a dimostrare che il banchiere bara per guadagnare di più. Ci mancava un rapporto di Nature su psicologia e trading per aggiungere irritazione a un mondo che si sente sotto attacco. Anzi in trincea, sensazione che da ieri avvolge le vie della City di Londra. Il pronunciamento dell’avvocato generale della Corte europea di giusitizia, Nillo Jaaskinen, riduce ai minimi termini le chance di una vittoria inglese nel contenzioso con Bruxelles sul tetto ai bonus. Qualche margine c’è, visto che proprio Nillo Jaaskinen fu l’eroe del Regno quando s’espresse contro le regole sulle short selling imposte da Bruxelles e contestate dal Tesoro britannico. In quel caso la Corte non seguì l’opinione dell’avvocato generale costringendo il governo inglese alla sconfitta.
Pochi credono che potrà accadere di nuovo sull’irrisolta querelle dei salari. Vedremo. Quello che già si vede è, invece, il divaricarsi di una nuova voragine fra Londra e Bruxelles. Un verdetto del genere - se effettivamente ci sarà - a cinque mesi da elezioni politiche interamente giocate sulla sovranità nazionale minacciata dall’integrazione europea - secondo la lettura di euroscettici ed eurofobi - rischia di essere dirompente. Si tocca, infatti, il nervo scoperto dell’industria nazionale, il banking, essenza stessa dei servizi finanziari che sta a Londra più di quanto l’automotive stia alla Germania o l’agricoltura alla Francia. La Gran Bretagna si sente meglio equipaggiata di chiunque altro, grazie a secoli di expertise, nel regolare banche e banchieri. La crisi del 2008 in parte - in larga, larghissima parte - la smentisce, ma tant’è, questo è il sentimento. Da allora ad oggi ritiene di aver percorso più strada del continente e di avere quindi titoli per essere ascoltata. Qui c’è stata la Vickers Commission sul banking, seguita dal ripensamento radicale della regolamentazione ora riportata sotto la Banca d’Inghilterra. Infine fra tre settimane usciranno stress test per gli istituti britannici che promettono di essere più vincolanti di quelli dell’Eba.
I segnali che si levano da Londra sono all’apparenza contraddittori. Da un lato si denuncia il rischio che il tetto al bonus faccia schizzare la parte fissa del salario (fenomeno già avvenuto se è vero che dal 2010 al 2012, nel Regno Unito, è passata da un terzo a metà della retribuzione) dall’altro è evidente l’irrigidimento del Governatore Mark Carney. Non più di qualche giorno fa aveva suggerito di pagare i banchieri con performance bond in linea con un’analoga proposta dei regolatori americani arrivando a immaginare il claw back - la riconsegna - anche di quote dello stipendio fisso in caso di responsabilità gestionali. Un’idea che sbatte con il viatico che i regolatori inglesi hanno di fatto dato a una nuova voce in busta: le indennità straordinarie denunciate invece dall’Eba come bonus truccati.
Londra lotta, dunque, e tanta di resistere. Per considerazioni politiche, ma soprattutto economiche. Più semplicemente cerca una sostenibile via di fuga per restare competitiva sul mercato dei servizi finanziari, allontanando la minaccia di operatori, in fuga verso le più flessibili piazze del Far East e non solo del Far east. Un rischio reale che pesa sull’intero sistema britannico già gravato dallo spettro - per la City almeno - dell’uscita di Londra dall’Unione. Per questo della paga del banchiere si continuerà a parlare per molto tempo ancora.