Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 21/11/2014, 21 novembre 2014
SE L’IMPRESA TEDESCA VUOLE UN’ALTRA EUROPA
L’intera strategia di riequilibrio dell’area euro si basava sull’ipotesi che l’economia tedesca, in grado di crescere velocemente, registrasse un tasso di inflazione ben più alto della media europea e che ciò ne riducesse l’enorme vantaggio commerciale a beneficio dei paesi più deboli che nel frattempo con riforme e restrizione fiscale avrebbero riguadagnato competitività.
Al contrario, l’inflazione tedesca è sempre rimasta bassa, lo squilibrio commerciale elevato e un circolo vizioso si è instaurato tra basso livello dei prezzi e ancor più basso livello dei tassi d’interesse. Con tassi sulle obbligazioni pubbliche scesi dal 4,3% al 2,6% nel corso della crisi, il risparmio delle famiglie non viene remunerato, i piani pensionistici sono colpiti e la propensione al consumo delle preoccupate famiglie tedesche non aumenta.
Il basso livello dei tassi colpisce l’intera struttura del capitalismo tedesco. Una miriade di banche locali, abituate a impegnare il risparmio in titoli pubblici privi di rischi non riesce più a essere redditizia. Un quarto delle compagnie di assicurazioni potrebbe scomparire nel giro di dieci anni secondo uno scenario della Bundesbank. L’onere sulle maggiori imprese dei piani pensionistici per i dipendenti - la cui capacità di adempiere agli impegni è erosa dal calo dei rendimenti - sarebbe aumentato dell’86% (da 190 a 353 miliardi di euro) durante la crisi, con un aggravio di 52 miliardi nel solo 2014. Nelle 30 maggiori imprese, i profitti aumentano per il calo dei tassi, ma vengono distribuiti agli investitori esteri per quasi due terzi, mentre i costi si riverberano sui dipendenti.
Il calo inatteso dell’economia tedesca ha fatto scattare l’allarme. Imprese e intermediari finanziari cominciano a sentire le conseguenze del fallimento della gestione della crisi. I segnali che arrivano dagli operatori economici incoraggiano a cercare una soluzione cooperativa per l’intera area euro. Stimando un livello normale dei tassi attraverso la regola standard in uso nelle banche centrali, dal 2010 i tassi tedeschi sono del 2% troppo bassi.
Soluzioni per il calo eccessivo dei tassi tedeschi possono venire dalla creazione di un titolo europeo sicuro e liquido, come proposto su Il Sole-24Ore di sabato scorso e poi ripreso dal Financial Times e da altri organi di informazione. L’allentamento quantitativo della Bce può essere l’occasione per creare il nuovo titolo.
Ma resta pur sempre il problema della bassa inflazione interna tedesca. Senza un aumento dei prezzi in Germania l’aggiustamento nei Paesi vulnerabili non può riuscire: richiede prezzi sotto lo zero con la conseguenza di aumentare il valore reale dei debiti e di soffocare le economie. Il surplus commerciale tedesco troppo elevato viola inoltre le regole del six-pack che la Commissione Ue è tenuta a far rispettare. A inizio anno la Bundesbank aveva suggerito aumenti salariali del 3% come via d’uscita, ma perfino i sindacati risposero con freddezza. Ragioni che
la Deutsche Bank definisce "culturali", specifici della società e degli individui tedeschi, ostacolano un riequilibrio dell’inflazione
e del surplus commerciale tedesco.
Oltre all’avversione per l’inflazione ereditata dall’esperienza storica tra le due guerre, l’economia tedesca ha anche forme "moderne" di autodifesa dall’aumento dei prezzi. La prima è un grado di apertura ai commerci unico tra le grandi economie. Con un livello di export ed import che in totale equivale al 95% del Pil, ogni aumento di prezzo viene annullato scegliendo all’estero i fornitori più convenienti. La capacità di gestire conflitti sociali e distributivi evita le pressioni salariali, nonostante la disoccupazione sia sotto il livello "naturale" di pieno impiego dei fattori produttivi. Perfino tra il 2010 e 2011, quando i prezzi dell’energia erano aumentati del 16%, l’inflazione tedesca non ha mai raggiunto il 2 per cento. Le riforme strutturali di dieci anni fa hanno ormai esaurito l’effetto, ma i meccanismi di flessibilità introdotti continuano a garantire alle imprese flessibilità che si riflette anche in maggiore occupazione.
Le trattative sindacali sono decentrate, ma dietro ad esse giocano un ruolo informale ma influente i sindacati dei settori metalmeccanico e chimico, due settori che dipendono dal successo dell’export e che considerano il vantaggio competitivo come una garanzia per il reddito e l’occupazione. Ma con la Germania diventata il secondo Paese di immigrazione al mondo, dopo gli Usa, la pressione dell’occupazione sull’inflazione resta molto bassa, forse metà di quella in Francia o Italia.
La struttura dell’economia tedesca sembra intrinsecamente incapace di produrre inflazione. Se le origini sono culturali, è probabile che in condizioni di crisi - in cui un aumento dei prezzi sarebbe ancora più necessario - i meccanismi difensivi si accentuino anziché allentarsi. Questa d’altronde è anche l’esperienza degli ultimi anni. Ma se chi fa analisi economica o politica non si arrende alle scorciatoie antropomorfiche, allora la soluzione degli squilibri tedeschi richiede uno sforzo di immaginazione politica ambizioso. A cominciare dalla creazione di aree di investimento europee, nelle quali la cultura economica e la forte organizzazione sociale tedesca possa contagiare e non combattere gli altri sistemi economici in condizioni di espansione e non di introversione. Mettere molti miliardi sul tavolo a Bruxelles, potrebbe non essere sufficiente se attorno alle risorse non si organizza un contesto istituzionale entro il quale gli europei si confrontino sul modello sociale e industriale di tutta l’area dell’euro.