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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

LA VERSIONE DI CARLO

[Colloquio con Carlo Rubbia] –
Il nucleare è un capitolo chiuso, perché non è né pulito, né sicuro, né innovativo. Il premio Nobel e senatore a vita Carlo Rubbia è lapidario. I dibattiti che ciclicamente si riaccendono sono, secondo lui, roba da secolo scorso. Oggi, invece, il futuro dell’energia si gioca su un ben altro piano. Ce lo racconta a Trieste, dove è venuto a celebrare i 50 anni del Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam”. Con qualche sorpresa.
Professor Rubbia, perché boccia il nucleare?
«Sul piano della protezione dell’ambiente, dobbiamo dire che è vero che un reattore nucleare non produce direttamente CO2, ma è anche vero che c’è il grosso problema delle scorie radioattive, e del loro smaltimento; per non parlare del rischio di instabilità e di incidenti: sono assolutamente poco probabili ma assolutamente disastrosi quando avvengono. E poi, ormai abbiamo a che fare con una tecnologia non più al passo coi tempi: il programma nucleare è rimasto fermo agli anni Sessanta. È arrivato il momento di voltare pagina, di ridurre il consumo energetico e le emissioni di anidride carbonica puntando su forme di energia diverse».
Quali?
«Dovremmo sviluppare una fonte di energia ben più abbondante del carbone: mi riferisco al gas naturale non convenzionale, o shale gas, ed estrarlo da riserve autoctone, locali, per poter abbattere anche i costi energetici. Seguendo, in sostanza, la strada aperta dagli Stati Uniti: l’unico Paese che, proprio grazie alla “shale revolution”, sta abbandonando gradualmente il carbone riuscendo a ridurre le emissioni di CO2 al livello degli anni Novanta. Con importanti ricadute anche per la competitività: infatti, oggi per le industrie americane il gas ha un costo circa tre volte inferiore rispetto a quello che devono sostenere le industrie europee, dato che l’Europa il gas naturale lo importa dalla Siberia e dall’Algeria».
Di che gas si tratta?
«È il cosiddetto gas di scisto intrappolato nelle rocce. A circa 2-3 chilometri di profondità, nelle rocce sedimentarie formate da depositi di materiale organico, è intrappolato il gas naturale che è composto principalmente da metano. Praticamente è disponibile ovunque, anche se, a dire il vero, non sono riuscito a trovare dati sui giacimenti di scisto in Italia. In Europa ne sono particolarmente ricche soprattutto Polonia e Francia, e la Cina, ormai, sta seguendo la direzione degli Usa e di anno in anno aumenta la produzione di shale gas.
Alcuni obiettano che usare questo gas espone al rischio di procurare terremoti?
«Non credo che i terremoti in America siano causati dall’estrazione dello shale gas. In ogni caso c’è anche la possibilità di utilizzare un’altra forma di gas naturale: i clatrati».
Cosa sono?
«Ancora poco conosciuti, sono disponibili in quantità enormi in tutto il mondo, nelle profondità degli oceani. E sono una sorgente abbondantissima di metano, perché si tratta in fondo di metano condensato nelle acque marine profonde. Diminuendo la pressione o aumentando la temperatura, i clatrati si svegliano e rilasciano il metano. Secondo me rappresentano la soluzione migliore per il futuro energetico dell’Europa, sarebbe utile dunque formare un gruppo di ricerca per poter esplorare questa direzione: trovare nel fondo degli oceani l’energia di cui abbiamo bisogno».
In ogni caso, che si estragga gas di scisto o che si raccolgano i clatrati, il gas naturale emette CO2, anche se in misura molto minore del carbone.
«È questo a cui stiamo lavorando con l’Institute for Advanced Sustainability Studies di Potsdam, in Germania: riuscire a produrre energia pulita, senza alcuna emissione di CO2, partendo dal gas naturale. In pratica puntiamo a scindere il gas metano in idrogeno e carbonio. Dalla combustione dell’idrogeno si ricava energia, pulita, mentre il black carbon rimane come scarto della trasformazione, da utilizzare come materiale da costruzione, per esempio nell’industria automobilistica. Risolto questo, il passaggio al gas naturale potrebbe essere la soluzione definitiva ai nostri problemi energetici dato che sarà disponibile per migliaia di anni».
Ma perché non puntare sulle energie rinnovabili per affrontare il problema in maniera sostenibile?
«Bisogna essere realistici. Il consumo mondiale di energia sta aumentando e le fonti rinnovabili non sono ancora competitive: rappresentano infatti solo a mala pena l’1 per cento dell’energia prodotta. Per esempio, è vero che il sole ogni giorno illumina e riscalda la Terra e che l’energia solare ha un potenziale economico grande rispetto alle altre fonti rinnovabili. Ma anche realizzando impianti efficienti nelle nostre regioni meridionali o in Africa, si pensi poi ai costi che dovremmo sostenere per trasportare l’energia nel resto del Paese e dell’Europa. In pratica il costo dell’uso dell’energia, a causa del trasporto, supererebbe il costo della produzione. A mio avviso, insomma, devono passare ancora molti anni prima che l’energia solare, ma anche l’eolica, siano in grado di soddisfare tutte le nostre esigenze».
Quindi secondo lei è da rivedere la politica energetica dell’Unione europea?
«L’Europa, da decenni ormai, ha puntato tutto sullo sviluppo delle energie rinnovabili, per contrastare i cambiamenti climatici ma anche alla luce del fatto che, a fronte di un progressivo e costante aumento della domanda energetica, i costi dell’energia da fonti fossili sono destinati a crescere visto il progressivo esaurimento dei giacimenti e quindi delle scorte disponibili. Tutti abbiamo sentito parlare del pacchetto clima-energia 20-20-20, che prevede di ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas serra del 20 per cento, di alzare al 20 per cento la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili e aumentare del 20 per cento l’efficienza. Ma siamo sicuri che sia la strategia migliore e più conveniente?»
Risponda lei.
«Io, personalmente, non credo. Gli Stati Uniti hanno fatto una scelta che ha dato risultati positivi, puntando sul gas naturale come materia prima dai costi più contenuti perché prodotta in casa. E diversi paesi, oltre alla Cina, sono stati contagiati dalla febbre dello “shale gas”. L’Europa è a un bivio: può restare a guardare o fare la sua parte. E non è detto che in futuro le scelte energetiche debbano essere di continuità rispetto a quelle fatte negli ultimi venti anni. In fondo, l’energia migliore è quella che impatta meno ma anche che costa meno e il gas naturale è il più ecologico dei combustibili fossili. E, a maggior ragione se riusciremo a sfruttare il suo potenziale energetico senza emissioni di CO2, non c’è motivo per non usarlo».