Paolo Biondani, L’Espresso 21/11/2014, 21 novembre 2014
ROMA CAPITALE DELLA MAFIA NERA
[Colloquio con Franco Roberti] –
Roma capitale: anche per la mafia. Una nuova mafia che uccide, ma solo quando è necessario. Ha una smisurata forza economica. Complici eccellenti tra imprenditori e professionisti. Usa la corruzione per comprare politici e pubblici funzionari. E stringe rapporti con terroristi mai pentiti della destra eversiva, cresciuti all’ombra di storiche protezioni garantite da pezzi dei servizi segreti e da altri settori dello Stato, compresa qualche divisa o toga sporca.
A lanciare l’allarme sulla criminalità nera che soffoca Roma è il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti. Magistrato dal 1975, ha lavorato in Campania, Toscana e Lazio firmando indagini fondamentali contro la camorra. Dall’agosto 2013 guida la Dna, l’organismo centrale che coordina tutte le inchieste antimafia. Roberti è “turbato” dalle intimidazioni subite dal giornalista de “l’Espresso” Lirio Abbate. E in questa intervista disegna per la prima volta un quadro completo, «nei limiti in cui si può, anzi si deve farlo senza danneggiare le indagini in corso» sull’avanzata mafiosa «a Roma e in altre province del Lazio».
Procuratore Roberti, partiamo dai negazionisti: c’è chi ripete da anni che a Roma la mafia non esiste.
«È un’affermazione assurda. Tutte le organizzazioni mafiose sono radicate a Roma da almeno trent’anni. Non si tratta di infiltrazioni esterne: hanno fortissimi interessi e precisi personaggi di riferimento. Capi, complici, riciclatori. C’è un radicamento, una stratificazione che ha origini lontane. A Roma viveva un boss di Cosa Nostra del calibro di Pippo Calò. Il clan Bardellino è cresciuto nel Basso Lazio ed è arrivato fino alla capitale. A Roma c’erano i cutoliani e ora abbiamo trovato i casalesi. La ‘ndrangheta c’è sempre stata, dai De Stefano ai Mammoliti e tanti altri. E le nuove indagini portano ogni anno a sequestri e confische per centinaia di milioni».
Ci indica qualche caso esemplare di radicamento mafioso a Roma?
«Per la mafia di oggi, basta citare il Cafè de Paris, un luogo di valore simbolico sequestrato al clan Alvaro della ‘ndranghetra. Per il passato, ricordo l’omicidio di Enzo Casillo, ucciso a Roma nel 1983 con una bomba sotto l’auto: era il luogotenente di Raffaele Cutolo, girava con documenti falsi forniti da quegli stessi pezzi di servizi segreti che trattarono con la camorra per liberare Ciro Cirillo, il politico democristiano rapito dalle Br. Oggi sembra un archetipo: la prima grande trattativa Stato-mafia».
Nei mesi scorsi la capitale e la costa laziale sono state insanguinate da troppi omicidi. C’è una guerra di mafia?
«Una volta gli omicidi a Roma venivano liquidati come “regolamenti di conti”. E non si parlava mai di mafia, solo di “mala”. Oggi non parlerei di guerra, anche perché molte indagini sono in corso. Ma alcuni omicidi sembrano avere una finalità strategica più ampia».
È il caso dell’assassinio di Silvio Fanella, il tesoriere di Gennaro Mokbel, l’ex neofascista condannato per il maxi-riciclaggio del caso Fastweb?
«Dico solo che mi riferisco ad alcuni omicidi. E ad altri episodi inquietanti».
Il nostro collega Lirio Abbate, che vive sotto tutela da quando lavorava a Palermo, continua a subire intimidazioni a Roma: sullo speronamento dell’auto di scorta su cui viaggiava, pochi giorni fa, le indagini sono solo agli inizi, ma già in ottobre due sconosciuti hanno lasciato un’auto rubata con pallottole e minacce a suo nome davanti all’ingresso della redazione.
«Leonardo Sciascia diceva che i mafiosi odiano i magistrati e i giornalisti perché ricordano. Lirio Abbate ha memoria storica: conosce nomi, date, fatti e sa collegarli al presente. Per questo è visto come un pericolo dalla mafia romana».
Abbate è stato nel mirino pure della ‘ndrangheta, ma certe intimidazioni sono iniziate quando “l’Espresso” ha pubblicato i suoi scoop sui “re di Roma” e sui “fascio-mafiosi”: boss, riciclatori, trafficanti di droga ed ex terroristi di destra. A Roma c’è una mafia nera?
«Il legame tra mafia e terrorismo nero va avanti da decenni. Per la strage del rapido 904 è stato condannato un boss di Cosa nostra e a custodire l’esplosivo era un neofascista. Quell’intreccio fu scoperto dal procuratore Vigna con un’istruttoria pionieristica. Le nuove indagini stanno soltanto rendendo più visibile, finalmente, lo stesso tipo di intreccio».
La bomba su quel treno del 23 dicembre 1984 uccise 17 innocenti. Il politico con l’esplosivo era Massimo Abbatangelo, che fu eletto parlamentare del Msi. Il mafioso stragista era Calò, primo alleato a Roma della Banda della Magliana.
«Oggi si tende a dimenticare che la Banda della Magliana è stata un’organizzazione mafiosa a tutti gli effetti. Una mafia romana in grado di trattare con Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta».
Eppure per decenni le sentenze romane hanno negato la mafia. Quando poi si è scoperto che qualche giudice di rango prendeva soldi dal cassiere della Magliana, i reati erano ormai prescritti. C’è stata paura, lassismo, incapacità e talvolta peggio anche nella magistratura?
«In generale è vero che in passato i magistrati e anche le forze di polizia non riuscivano a trovare prove in grado di reggere fino alla Cassazione. Oggi, però, il nuovo procuratore Pignatone e l’aggiunto Prestipino hanno saputo portare a Roma la grande capacità ed esperienza maturate a Palermo e Reggio Calabria. E anche le forze di polizia sono molto più efficaci. Ma non vorrei essere frainteso: magistrati e polizia giudiziaria oggi dispongono di tecnologie molto più moderne e utilizzano leggi approvate solo dopo il sacrificio di giudici come Falcone e Borsellino».
In che senso si parla di “nuova mafia”?
«Negli ultimi anni lo sviluppo dei gruppi criminali è stato segnato dalla globalizzazione dei mercati e dalla saldatura con l’economia. Il riciclaggio, il reimpiego di capitali illeciti, le connivenze nella finanza sono aspetti caratteristici delle organizzazioni mafiose moderne».
La Magliana e i terroristi neri spesso sceglievano obiettivi ricattatori: non si svaligia una banca a caso, ma il caveau del palazzo di giustizia, perché è lì che si nascondono i segreti dei potenti. Oggi la mafia nera ha poteri di ricatto?
«Risponderanno le indagini. Di certo la storia della mafia a Roma è fatta di questo potere di condizionamento».
E la politica è ancora collusa?
«Per una mafia economica l’omicidio è un atto estremo: prima ci provano con i soldi. Infatti i legami con certe cricche legate alla politica sono diventati strettissimi. Oggi la corruzione è lo strumento principe della metodologia mafiosa».