Il maiale di Michel Pastoureau vedi database in scheda 2294444, 21 novembre 2014
ANTRONPONIMIA DEL PORCO PER PROVERBI SUI MAIALI FRANCESI E ITALIANI
ANTRONPONIMIA DEL PORCO PER PROVERBI SUI MAIALI FRANCESI E ITALIANI –
Tratto da Il maiale di Michel Pastoureau vedi database in scheda 2294444
In tutte le lingue indeuropee molti animali hanno dato il proprio nome a uomini e donne. Fra i tanti il porco ha un posto di rilievo, inizialmente inteso come cinghiale e in seguito, più direttamente, come maiale domestico. L’antroponimia ha largamente attinto, sempre e ovunque, al lessico relativo al maiale. Quanto ai numerosissimi proverbi che lo riguardano, quelli di seguito citati provengono da raccolte francesi dei secoli XVIII e XIX.
Antroponimia
Eppure mancano vere indagini statistiche che permettano di studiare, per una data epoca e area culturale, il ruolo del maiale in confronto agli altri animali nella genesi dei nomi di persona. Un ruolo che appare rilevante nelle società antiche, in particolare presso i Romani, i Germani e i Celti, ma sembra ridimensionarsi nei secoli successivi, a vantaggio di altri animali (quali il gallo, il corvo, il bue, la pecora).
Ai Romani il maiale è gradito, tanto che ne prendono in prestito il nome e lo usano per se stessi. Il vocabolo latino usato per designare il cinghiale, aper, ha subito dato vita a molti soprannomi diventati in seguito cognomi: Aprianus, Apricius, Apronius, Apronianus ecc. Tale prestito sottolinea ancora una volta il ruolo essenziale svolto dal cinghiale nella caccia, nella religione e nell’alimentazione dei Romani. Da parte loro, i nomi che identificavano il maiale domestico (porcus, scrofa, verres) o la specie suina in generale (sus) hanno generato una quantità di soprannomi, in certi casi spregiativi ma più spesso elogiativi: Porcius (frequentissimo, e per di più cognome dalla prolifica gens di Catone il Vecchio), Porcina, Scrofa, Scrofinus, Verres, Verrius, Verrinus, Suinus, Suillus, Suarius (gli ultimi tre più raramente). Soltanto maialis (termine che indicava il maiale castrato), assente dall’antroponimia, sembra esser stato davvero infamante. Molti di questi nomi hanno lasciato traccia nell’antroponimia italiana (dove il maiale domestico è peraltro più ricorrente del cinghiale): Porco, Porcaro, Porcello, Scrofino, Suino.
In ambito germanico, la funzione antroponomica del maiale è almeno altrettanto grande che presso i Romani, benché per molto tempo si sia espressa quasi solo a partire dal termine Eber, cinghiale (forse ricollegabile alla stessa radice indoeuropea del latino aper). Per tutto l’alto Medioevo la radice Eber ha generato, soprattutto per suffissazione, numerosi nomi di persona divenuti poi nomi di battesimo e in seguito patronimici. Fra i più frequenti citeremo Eberan, Ebergund, Eberle, Eberwin, Ebermund, Ebermann, e soprattutto Eberhard (letteralmente «forte come un maiale»), un cognome a tutt’oggi diffuso in Germania, che si è trasmesso al francese come Evrard. Malgrando tanta profusione, il cinghiale non è però l’animale più frequente nell’antroponimia germanica dell’alto Medioevo: lo superano il lupo (Wolf), l’orso (Bär) e il corvo (Rabe). Da parte sua, il maiale domestico (Schwein) ha dato vita a numerosi nomi propri, ma si tratta più di nomi di luoghi che di nomi di persona.
Nel francese, al contrario, il cinghiale cede il passo al maiale. In effetti, se il torcos gallico e l’aper latino, che designano entrambi il cinghiale, lasciano poche tracce nei nomi di persona medievali e moderni, abbondano invece i nomi costruiti sulle parole porc, cochon (maiale), goret (maialino) e derivati. Citiamo alcuni esempi ancora molto diffusi nella Francia di oggi: Porcher, Porchelle, Porchon, Porchère, Percheron, Porquet, Pourcel, Pourceau, Pourcher, Pourcheresse, Pourcheiroux, Pourquery, Leporc, Lepors, Duporc, Goret, Gorin, Gergorin, Goron, Gorel, Goriot, Lagorce, Goreau, Gorichon ecc. Più rari i nomi costruiti sul termine truie (scrofa); il nome Alatruie, ben attestato nel Medioevo in Normandia e in Île-de-France, sembra ormai raro. Nondimeno va rilevato che dal XIX secolo in poi, soprattutto in Francia ma anche nei paesi vicini, un certo numero di famiglie il cui nome evocava troppo direttamente il maiale chiese di poterlo cambiare e nella maggior parte dei casi ottenne l’autorizzazione a farlo. Il che documenta sul piano storico come le società contemporanee assumano più difficilmente di quelle antiche forme di denominazione basate sul mondo animale e sui sistemi di valori che a questo si ricollegano. E testimonia inoltre il grave discredito del porco nei codici sociali e agli occhi delle persone e alla loro sensibilità. Qui, come altrove, il maiale è diventato col passare del tempo un essere sgradito.
Sottolineiamo in conclusione che l’etimologia della parola cochon è molto incerta. Il termine, sconosciuto al latino e alle lingue germaniche, è attestato nel francese antico dopo la fine del secolo XI e diventa d’uso corrente nel XIII. Ma fino all’epoca di Luigi XIV indica per lo più il porco di giovane età e affiora soprattutto nelle lingue parlate del settentrione: solo a partire dal Settecento si diffonderà in tutte le regioni francesi, diventando il termine più comune per designare il maiale domestico. In passato alcuni filologi hanno creduto di vedere in cochon un derivato di coche (tacca, anticamente scrofa), poiché le scrofe e i verri castrati venivano spesso marchiati con un’intaccatura all’orecchio. Spiegazione ingegnosa ma oggi definitivamente rifiutata, purtroppo senza che sia stata proposta un’alternativa! In attesa di una spiegazione veramente scientifica, la maggior parte degli specialisti attuali riconosce che l’etimologia di cochon è «oscura». Alcuni di essi cercano di far risalire il vocabolo ai gridi con cui un tempo le contadine avrebbero radunato i maialini («koch, koch»), ma nemmeno questo sembra soddisfacente.
Toponimia
Per quanto concerne la toponimia si rileva un contrasto piuttosto marcato fra l’Europa settentrionale, che attinge spesso ai diversi nomi del porco per creare nomi di luoghi, e l’Europa meridionale, dove questo avviene in modo meno frequente e più localizzato.
A proposito di toponimia si può inoltre osservare che in genere, per il cinghiale, c’è meno interesse che per il maiale domestico, e questo vale anche per i paesi germanici, suoi territori prediletti.
In Germania, ad esempio, i toponimi costruiti sulla parola Eber rimangono senz’altro numerosi (Ebersberg, Ebernach, Ebersdorf, Eberstadt, Ebertsheim ecc.) ma devono vedersela con la forte concorrenza di una folla di nomi derivati dal termine swin, il nome del porco nel tedesco antico che ha poi dato origine alla forma moderna Schwein. L’esempio più conosciuto è la grande città di Schweinfurt in Franconia. Va detto che forse uno studio cronologico rigoroso mostrerebbe che le forme toponimiche in Eber- sono in genere molto più antiche di quelle in Schwein-. Del resto sono queste ultime che, a partire da varie derivazioni, si sono a poco a poco estese fino ai confini del mondo germanico: dunque Zwijndrecht nel Belgio centrale o Suinard nel francese Pas-de-Calais, entrambi derivanti dal germanico swin.
Stesso fenomeno in Inghilterra, dove dominano le forme costruite sull’arcaico swin (Swindon, Swinflield, Swinhoe, Swinside, Swineshead ecc.) a scapito di quelle basate sulla radice boar (cinghiale).
In Francia sono numerosi i luoghi che evocano la porcherie, che nel francese antico e medio indica i terreni battuti dai maiali (e non, come nel francese moderno, le porcilaie): Porchères, Porcheresse, Porquerolles, Pourchères, Pourcheresse, Préporché, Pisse-Pourcel, La Porchière, La Porcherie, Villepourcel, La Ville-Porchère, Les Pourcheaux ecc.
Questi nomi si trovano soprattutto a nord della linea Lione-Bordeaux e indicano, più che veri agglomerati urbani, quasi sempre località o casali, a volte villaggi di ridotte dimensioni. I nomi di questi ultimi si ricollegano più a nomi di persona, come Château-Porcien nelle Ardenne e La Ferté-Poucheau nel Maine, oppure di santi: il culto di san Porcario, abate di Poitiers morto intorno al 600, ha perciò dato vita a parecchi toponimi nel Poitou e nella Charente; quanto al culto di san Porciano, suo contemporaneo nel Borbonese, vale lo stesso per l’Allier, la Nièvre, la valle della Loira e la Normandia.
In generale va rilevato che per la toponimia francese – che al mondo animale dà meno importanza che a quello vegetale – il maiale è di tutti gli animali domestici quello che ha generato il maggior numero di esempi.
Fonte: Raymond Buren, Michel Pastoureau, Jacques Verroust, Le Cochon. Histoire, symbolique et cuisine du porc, Paris, Sang de la terre, 1987.
Proverbi e adagi francesi
(tradotti alla lettera, alcuni sono sostituibili con il corrispondente italiano riportato nelle pagine seguenti)
Ad ogni porco il suo San Martino. Ai tuoi simili e al tuo maiale mostra una volta sola la tua casa.
Bambini, folli e porci si riconoscono dalle loro azioni.
Chi dorme coi maiali si sveglia con le pulci.
Chi è troppo buono i porci lo rosicchiano.
Chi passa l’estate senza maiale, passa l’inverno senza pancetta.
Chi vuol male al suo vicino gli fa comprare un maiale di San Martino (nato in inverno).
Ciò che v’è di più raro per la strada è un maiale che non russa, un cane che non trotta, due donne che non chiacchierano.
Corri dietro al tuo maiale, la corda si è spezzata.
Donna o maiale non devono mai lasciare la casa.
È follia regalare rose al maiale.
Figlia d’oste e porco di mugnaio, meglio lasciarli a chi li ha cresciuti.
Il cane per il macellaio, il maiale per il mugnaio e la serva per il curato son tre cose difficili a cui badare.
Il cardo piace molto all’asinello, lo stronzo caldo al signor Porco.
Il porco affamato sogna le ghiande.
In un bel maiale fino alle setole è tutto buono.
L’avaro è come il porco, vien buono quando è morto.
Meglio tosare l’agnello che il maiale.
Non perde l’elemosina chi la dà al suo maiale.
Non tutti i maiali stanno nei porcili.
Passare dalla scrofa al maiale.
Per far bello un giorno occorre radersi, per far bello un mese sposarsi, per far bello un anno uccidere un maiale.
Pulita o meno, ogni cosa ingrassa il maiale.
Quando si picchia una mandria di maiali, a gridare è quello che ha preso il colpo.
Quando si rompe la corda, addio maiale.
Quello ne sa quanto un maiale, che nemmeno conta fino a uno.
Ragazze, oche, maiali e vitelli: brutte bestie da guidare.
Se la scrofa è fellona i maialini la giudicano.
Serva di prete, scrofa di mugnaio, figlia di taverniere: statene alla larga.
Tanto rumore e poca lana, diceva uno che tosava il suo maiale.
Un maiale grasso e un uomo avaro sono come due fratelli.
Un pizzico di maiale, un pizzico di pecora, un pizzico di bue e qualche erba profumata fanno buono il brodo.
Una scrofa sogna solo l’immondizia.
Vecchio scapolo, vecchio porco.
Vita da porco, breve e bella.
Vita da scapolo, vita da porco.
Proverbi e adagi italiani
A far la barba si sta bene un giorno, a prender moglie si sta bene un mese, ad ammazzare il maiale si sta bene un anno.
A San Martino uccidi il maiale e bevi vino.
Ai peggio porci toccano le meglio pere.
Aspetta il porco alla quercia.
Assai rumore e poca lana.
Bue, cavallo e porco vogliono aver gran corpo.
Buone ragioni male intese, sono perle a’ porci stese.
Chi alleva il maiale lo rende grasso; chi vizia un figlio lo rende pazzo.
Chi dà il pane ai maiali, Gesù Cristo gli cava gli occhi.
Chi ha un buon orto, ha un buon porco.
Chi non ha orto e non ammazza porco, tutto l’anno sta a muso torto.
Chiara chiara l’acqua non la vogliono neppure i porci.
Davanti un campo di grano, un porco e una gallina, bisogna levarsi il cappello.
Del maiale niente va perduto.
Del maiale non si butta via nulla.
Di rosso è buono solo quello del prosciutto.
Dice il porco dammi dammi, né mi contar mesi né anni.
È come dare biscotti ai maiali.
È come dare perle ai porci.
È meglio puzzare di porco che di povero.
Far la vita del beato porco.
Grasso e magro non del tutto ecco il pregio del prosciutto.
I mercanti ed i maiali vanno pesati solo dopo morti.
I porcellini e i figli dei contadini sono belli da piccoli.
Il maiale che ha il pelo bruciato o ha fame o è ammalato. Il maiale grufola all’innanzi e il gallo razzola all’indietro.
Il mattale sogna ghiande.
Il maiale viziato non ingrassa mai.
Il porco vuol mangiare sporco e dormire pulito.
L’avaro è come il porco: è buono dopo morto.
Levarsi la sete col prosciutto.
Maiale di un mese, oca di tre, mangiar da re.
Meglio porco magro che gallina grassa.
Par Sant’André ciappa ‘l busgat pr’ al pié. Se t’an al vo’ ciapar, lass’l’ andar fin a Nadad.
Per San Tommaso piglia il porco per il piede.
Porci e figlioli, come li educhi li trovi.
Porco grasso non è mai contento.
Porco pulito non fu mai grasso.
Prima di acquistare il maiale costruisci il porcile.
Prima maiale, ultimo cane.
Prosciutto e salame sono pasto da puttane.
Rossi non sono buoni nemmeno i maiali.
Scrofa magra, ghianda s’insogna.
Se il maiale volasse non ci sarebbe uccel che lo passasse.
Un noce in una vigna, una talpa in un prato, un legista in una terra, un porco in un campo di biada, e un cattivo governatore in una città, sono assai per guastare tutto.
Vive il maiale e muor nella sporcizia, ma nelle mense nostre è gran delizia.