«Dons d’organes: les porcs a notre secours» in Québec Science, 1996, 21 novembre 2014
Donazione d’organi: i maiali ci vengono in soccorso Fin dai primi del Novecento [Tratto da Il maiale di Michel Pastoureau vedi database in scheda 2294444] La parentela biologica fra l’uomo e il porco ha suscitato l’interesse della medicina, e in seguito ha lasciato sperare in progressi rapidi e forse definitivi nel campo dei trapianti d’organi
Donazione d’organi: i maiali ci vengono in soccorso Fin dai primi del Novecento [Tratto da Il maiale di Michel Pastoureau vedi database in scheda 2294444] La parentela biologica fra l’uomo e il porco ha suscitato l’interesse della medicina, e in seguito ha lasciato sperare in progressi rapidi e forse definitivi nel campo dei trapianti d’organi. Ma col passare degli anni questi progressi si sono rivelati più lenti del previsto, non solo a causa del complesso problema del rigetto, ma anche per gli ostacoli di natura ideologica e simbolica. Nel 1996, tuttavia, l’ottimismo era ancora molto diffuso. Gli organi del maiale sarebbero perfetti per essere innestati nell’essere umano, ma voi siete disposti a camminare, a correre, a dormire con un cuore di maiale nel petto? Fra non molto sarà forse possibile per alcuni malati gravi vivere, e vivere bene, grazie al trapianto di organi suini. «Non è fantascienza» dice l’immunologo Éric Wagner, che collabora coi ricercatori di un grande centro americano di xenotrapianti. Al passo con cui progredisce la scienza in questo settore ipercompetitivo, i primi trapianti d’organi di maiale dovrebbero aver luogo fra cinque anni. Cinque anni sono molti per chi vive sulla corda, in attesa di un organo, ma sono pochi per quelli che si interrogano sull’adeguatezza di un progresso scientifico che, senza troppe remore, farà cadere nuove barriere etiche. Perché proprio gli organi di animale? Da anni si registra una drammatica penuria di organi umani, e questo ha indotto i ricercatori a tentare di innestare nell’uomo il cuore, i polmoni, il fegato, il pancreas o i reni del maiale. Negli Stati Uniti quarantamila persone hanno bisogno di un cuore nuovo, ma soltanto duemiladuecento di loro lo avranno. In Québec più di cinquecento pazienti aspettano un trapianto. Sono quasi cinquemilacinquecento in Francia e ventimila in tutta l’Europa. «Poter accedere rapidamente e in ogni momento a un qualunque organo grazie allo xenoinnesto è il sogno di tutti i chirurghi» dice il dottor Raynald Roy, responsabile del laboratorio di Immunologia e Trapianto del Centro ospedaliero dell’Université Laval. Per quanto possa sembrare futuribile l’approccio non è nuovo. Il primo istinto dei chirurghi, fin dagli inizi del secolo, fu di trapiantare organi animali. Il motivo è semplice: all’epoca, spiega Éric Wagner, il concetto di morte biologica era molto diverso da quello che prevale ai nostri giorni. Si riteneva che un uomo fosse morto quando il suo cuore smetteva di battere (oggi è l’arresto delle funzioni cerebrali a servire da indicatore), tanto che i tessuti prelevati da un cadavere erano spesso inservibili. «Inoltre» aggiunge, «l’utilizzo di organi umani sollevava questioni etiche. Perciò si è sperimentato il trapianto di organi animali». Il primo tentativo risale al 1906. Il chirurgo lionese Mathieu Jaboulay provò a innestare il rene di un maiale in una donna affetta da insufficienza renale. Fu un fallimento assoluto, e in seguito la medicina abbandonò l’idea via via che la ricerca nel campo dei trapianti umani progrediva. Eppure, fra il 1962 e il 1992 furono tentati trenta xenoinnesti. Bilancio degli interventi: trenta decessi. Tuttavia, da cinque anni a questa parte, i fenomeni di rigetto a seguito di xenoinnesto sono sempre più conosciuti e compresi, e si ritiene di essere ormai molto vicini alla meta. Già oggi, nel laboratorio del dottor Jeffrey Platt, un medico americano considerato un luminare della materia, si effettua la perfusione di fegati di maiale con sangue umano e, secondo Eric Wagner, che lavora con l’équipe di Jeffrey Platt, i primi risultati sarebbero definitivi. La Nextran, partner del gigante farmaceutico Baxter, ha inoltre ottenuto dalla Food and Drug Administration l’autorizzazione a effettuare test clinici sull’uomo, un programma che dovrebbe avere inizio fra due anni. Il primo ostacolo da superare per consentire a un cuore di maiale di battere nel petto di un uomo è quello dell’inesorabile rigetto iperacuto. In media, il tempo di sopravvivenza di un cuore di maiale non geneticamente modificato è di appena una trentina di minuti. La colpa sarebbe principalmente dell’incompatibilità immunologica. Ecco cosa avviene a grandi linee. Dopo che il chirurgo ha suturato i vasi del cuore e il sangue irrompe nell’innesto di provenienza suina, entrano in azione gli anticorpi del ricevitore. [... ] Per contrastare questa fulminea reazione immunizzante, bisogna riuscire a modificare la catena degli eventi molecolari e impedire l’attacco del complemento. Ed è proprio questo il filone che i ricercatori stanno perseguendo in questo periodo. L’approccio più promettente consiste nel produrre un animale transgenico. «È senz’altro questa la strategia più in voga» spiega Éric Wagner. Si tratta, in un certo senso, di «umanizzare» il maiale, manipolandolo geneticamente al fine di rendere i suoi organi più tollerabili per l’uomo. Parecchie équipe di ricerca europee e statunitensi hanno iniziato a produrre maiali transgenici in cui il genoma codifica la produzione di molecole umane che bloccano il citato meccanismo del complemento. «Due di queste molecole umane (CD55 e CD59) sono state introdotte con successo in nuove stirpi di maiali» dice Éric Wagner. Fra non molto si trapianteranno nelle scimmie alcuni organi del maiale. I primi risultati sono incoraggianti: innestato in un babbuino, il cuore di un maiale umanizzato può sopravvivere in media una decina d’ore invece dei consueti sessanta-novanta minuti. Il team del medico britannico David White, che in questo settore è il più avanzato al mondo, ha appena ottenuto un altro risultato importante. L’équipe ha trapiantato un cuore di maiale transgenico in un giovane macaco sottoposto a trattamento immunodepressivo, una terapia che impedisce il classico rigetto degli organi umani. Il cuore è rimasto attivo per parecchie settimane. Dunque il primo ostacolo, quello del rigetto iperacuto, è stato superato. «Ma ora che abbiamo varcato questa frontiera» ammette Éric Wagner, «brancoliamo nel buio». Infatti, come per il trapianto di un organo umano, la sopravvivenza di un innesto di origine suina è minacciata dai rigetti acuti e cronici che possono prodursi nelle settimane, nei mesi o negli anni successivi all’intervento, spiega il dottor Raynald Roy. «Non sappiamo che tipo di reazione immunitaria di verificherà, e resta ancora molto da fare per capire fino in fondo i meccanismi di rigetto e tolleranza allo xenoinnesto». Sarebbe lecito chiedersi perché i ricercatori si siano interessati proprio agli organi del maiale invece che, per esempio, a quelli dello scimpanzè. Soprattutto se si considera la somiglianzà genetica, questa scimmia è considerata il donatore privilegiato per l’essere umano. Va ricordato che venti milioni di anni fa il gene che controlla la molecola galattosio-alfa-1,3-galattosio (alfa-gal) è stata inattivata non solo nell’uomo, ma anche nella specie imparentata, lo scimpanzè o il babbuino. In altre parole la scimmia è un donatore di xenoinnesti concordanti, perciò non è possibile il rigetto iperacuto. Ma l’opzione è stata accantonata per vari motivi. Innanzitutto, facendo ricorso agli organi dello scimpanzè, si correva il rischio di una pericolosa contaminazione infettiva. Infatti questi animali sono portatori di virus che potrebbero colpire l’uomo, e in particolare un virus simile a quello dell’AIDS, I’SLTV, che provoca leucemie e linfomi e si trova nel 40 per cento dei babbuini. La recente epidemia di febbre emorragica dovuta al virus Ebola illustra la gravità di tale minaccia. Oltretutto si tratta di un animale che non è facile allevare in cattività, che si sviluppa lentamente (occorrono tra i sette e i dieci anni perché un suo organo raggiunga dimensioni sufficienti per il trapianto) e che si riproduce con frequenza limitata. Ultimo argomento, e di grande importanza: per l’opinione pubblica, sacrificare i babbuini per i loro organi è molto meno accettabile che uccidere dei maiali, che in ogni caso vengono mandati al macello in quantità industriali. Si è dunque scelto il maiale che, malgrado le apparenze, è simile all’uomo per fisiologia e anatomia: per grandezza e struttura i suoi organi sono affini a quelli umani. Inoltre, a differenza della scimmia, possiede pochissimi agenti infettivi trasmissibili all’uomo, raggiunge una dimensione adeguata intorno ai sei mesi di vita e le sue figliate sono numerose. Bisogna aggiungere che l’industria alimentare impiega negli Stati Uniti novanta milioni di maiali all’anno. Come dire che meno dello 0,1 per cento di questo numero basterebbe a soddisfare la domanda d’organi del paese. Eppure, per quanto il maiale possa sembrare il candidato ideale, il cammino dei ricercatori è ancora pieno di insidie. Difatti, come osserva il medico, sul piano etico lo xenotrapianto suscita ancora un’enormità di questioni. E, già adesso, qualche levata di scudi. «La scienza» dice «può risolvere il problema del rigetto, ma stabilire se il trapianto di geni umani negli animali sia o non sia eticamente accettabile è tutta un’altra questione». In Europa e negli Stati Uniti alcuni gruppi di pressione hanno cominciato a opporsi all’utilizzo di animale transgenici per applicazioni farmaceutiche. Inoltre, si chiede il ricercatore abbozzando un sorriso dubbioso: «La gente sarà davvero disposta ad accettare il cuore di un maiale?» Fonte: «Dons d’organes: les porcs a notre secours» in Québec Science, 1996.