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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

ALIDAD SOGNAVA L’ITALIA, MA L’ITALIA NON LO VOLLE STORIA DI UN PROFUGO AFGHANO DI 12 ANNI CHE, ARRIVATO AD ANCONA DOPO UN LUNGO VIAGGIO DISPERATO, FU BUTTATO FUORI DAL PAESE. ORA CHE FINE HA FATTO? MAH

Che fine ha fatto il piccolo Alidad Rahimi, che appena sbarcato ad Ancona fu buttato fuori dall’Italia e caricato sulla prima nave per la Grecia senza manco dargli il tempo di raccontare la sua odissea? Aveva dodici anni, quel bambino clandestinamente entrato nel porto marchigiano nascosto nella pancia di un camion: dodici. E aveva viaggiato per tre anni (tre anni!), attraverso l’Iran e la Turchia e la Grecia, per fuggire il più lontano possibile dall’Afghanistan e dai talebani che avevano assassinato suo papà e costretto a scappare lui, la mamma, i fratellini. Aveva diritto allo status di rifugiato, quel bambino in fuga dalla guerra afghana e dal fanatismo islamico: diritto. Lo dicevano le leggi italiane, quelle europee, quelle internazionali. Non bastasse, i bambini come Alidad erano protetti dal Decreto legislativo 28 gennaio 2008: «Al minore non accompagnato che ha espresso la volontà di chiedere la protezione internazionale è fornita la necessaria assistenza per la presentazione della domanda. Allo stesso è garantita l’assistenza del tutore in ogni fase della procedura per l’esame della domanda…». Lo buttarono fuori, insieme con tanti altri tredicenni e quattordicenni e quindicenni, quel bambino. E certo per lui non valeva neppure il sospetto di quanti dicono che «è troppo comodo per tanti furbi spacciarsi per profughi in modo da avere l’asilo». Ammesso e non concesso che sia vero, una cosa è certa: nessun adulto può spacciarsi per un bambino di dodici anni. Nessuno. Che fine ha fatto, quel bambino? «Non lo so», risponde l’avvocato genovese Alessandra Ballerini, da anni impegnata nella difesa dei profughi, «abbiamo cercato in tutti i modi di rintracciarlo. Non ci siamo riusciti». Non ha potuto neppure avvertirlo, Alidad, della recentissima sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha condannato l’Italia per aver rispedito in Grecia 35 profughi afghani, sudanesi ed eritrei. Tre i punti contestati al nostro Paese: il respingimento collettivo, la negazione della possibilità di accedere alle procedure di asilo, il rischio di esporre gli immigrati «a trattamenti inumani e degradanti». Uno di quei ragazzini respinti in quel 2009 e vincitori della battaglia giudiziaria vive oggi nei dintorni di Parma. E Alessandra Ballerini ne parla nel libro La vita ti sia lieve. Storie di migranti e altri esclusi, dove ha raccolto tante storie di dolore, violenza, riscatto. Lo chiama, con un nome di fantasia, Alì: «Nella sua vita non ha avuto molta fortuna. Nato in Afghanistan, già da bambino dovette iniziare a fuggire e nascondersi, dopo che i talebani gli uccisero il padre e bruciarono la sua casa. Trascorse l’infanzia scappando di città in città con la madre, fermandosi qualche mese per prendere fiato e lavorare come pastore. Ma poi i talebani li raggiungevano di nuovo e così la mamma raccoglieva fagotti e figli e ripartiva. Un giorno a Kabul i talebani lo catturarono. Lo torturarono per giorni fino a fargli compiere il più orribile e innaturale dei gesti: confessare dove stava nascosta la sua famiglia. Aveva resistito agli schiaffi, alle botte, alla privazione di sonno e cibo, alle bastonate sotto le piante dei piedi e sulle falangi delle mani. Aveva resistito anche quando gli strapparono le prime unghie. Ma poi presero una lama e con calma iniziarono a scavare via la carne dalle dita delle mani (come fare la punta a una matita, mi dice). Allora iniziò a parlare. Nel verbale dell’intervista davanti alla Commissione per il riconoscimento dello status di rifugiato, quando gli chiedono se fosse stato picchiato, l’intervistatore riporta la risposta “e non solo questo” e annota in corsivo “piange”…». Le prime due volte tentò di venire in Italia imbarcandosi su un traghetto, lo fermarono e lo buttarono fuori. La terza volta, da Patrasso, è venuto a piedi. Camminando per mesi attraverso la Grecia, la Macedonia, la Serbia, l’Ungheria, l’Austria…