Lamia Luna, Chi 19/11/2014, 19 novembre 2014
IL MIO HOBBY È IL GIORNALISMO
[Clemente Mimun]
Ha diretto Tg2, Tg1, Rai Parlamento, da sette anni guida con successo il Tg5, di cui è tra i fondatori con Enrico Mentana e Lamberto Sposini. Ma nonostante i vent’anni da direttore e una quarantina di giornalismo alle spalle. Clemente Mimun continua a svegliarsi all’alba per seguire il suo telegiornale fin dall’edizione delle 6 del mattino, con Prima Pagina, che da novembre è in diretta, e non salta una riunione di redazione, neppure nel fine settimana.
Domanda. Dopo tanti anni come fa ad avere ancora l’entusiasmo degli esordi?
Risposta. «Ho sempre lavorato con passione. Se poi si ha la fortuna di fare il mestiere che si sognava fin da bambini, c’è poco da lamentarsi. Ricevo centinaia di curricula da giovani che vorrebbero provare a fare giornalismo. Spesso hanno un paio di lauree, parlano tre lingue e si capisce che continuano a sbattere la testa contro il muro della disoccupazione. Tra loro c’è sicuramente qualche talento importante, ma con l’aria che tira questi ragazzi non avranno mai neppure il modo di provarci».
D. Ha almeno un consiglio per loro?
R. «Per necessità, ho iniziato a lavorare a 17 anni, facendo la gavetta. Ho sacrificato molto della mia adolescenza, ma sono stato premiato. Tanto impegno, un po’ di fortuna e sono qui. Chi vuole provarci deve avere la testa dura, onestà intellettuale e tanta curiosità. Più che accumulare lauree e diplomi da incorniciare, suggerisco loro di iniziare a lavorare prestissimo, a qualunque condizione, in qualsiasi posizione, per fare il pieno di esperienza, fatica e frustrazioni. Il mix, assolutamente micidiale, serve a rafforzarsi in un mondo sempre più difficile. Sicuramente non è Disneyland, ma neppure la Chicago degli Anni 30».
D. A una certa età, con tante medaglie sul petto, non ha pensato di tirare un po’ il fiato?
R. «Neanche per sogno. Questo è un lavoro fantastico. Si deve fare con impegno, responsabilità e fantasia. Diversamente, meglio fare altro. Amo fare il giornalista e lo farò fino alla fine dei miei giorni. Ho detto giornalista, non direttore. Per me è più affascinante fare il solista che dirigere l’orchestra».
D. La sua giornata tipo com’è?
R. «Mi sveglio prestissimo, non oltre le 5, leggo i siti dei giornali italiani e non le agenzie, poi un’occhiata a un tg americano e a uno francese, quindi dieci minuti su Twitter. Poi mi attacco al telefono e comincio a rompere le scatole al disgraziato di turno per definire le scalette dell’alba».
D. Con la diretta di Prima Pagina aggiunge un’altra grande innovazione alle molte già realizzate?
R. «In questo caso ho semplicemente realizzato un disegno dell’azienda, cui tiene moltissimo Pier Silvio Berlusconi. Dopo 22 anni di successo del rullo di Prima Pagina, sì è scelta la diretta per dare un’informazione più tempestiva e completa. Con l’aiuto e il sostegno pieno del team di Mauro Crippa, siamo partiti molto bene. Sono anche orgoglioso del fatto che molte delle iniziative che ho messo in piedi in Rai siano ancora in onda: non solo il Tg2 delle 13 della durata di un’ora, con Costume e società e Salute, ma pure Eat parade. Terra e sapori. Sì Viaggiare, Motori e così via. Anche il Tg2 serale continua ad andare in onda alle 20.30, dove lo collocai io. Ora sono proprio curioso di vedere come faranno a viale Mazzini, unificando redazioni tanto diverse come quella del Tg1 e quella del Tg2».
D. Questa scelta la convince?
R. «Neanche un po’, la trovo anche pericolosa perché con un solo direttore alla guida di due tg, l’informazione Rai sarà ancora più omogenea. Sarà un bene per il palazzo, ma non per i telespettatori».
D. Chi porterebbe via alla Rai se potesse?
R. «Qui la squadra è coesa e vincente, non ci manca nulla. Ma professionisti come Vincenzo Mollica, Laura Chimenti, Roberto Olla e Bianca Berlinguer rafforzerebbero in modo significativo chiunque».
D. Intanto ha preso Luciano Onder (storico conduttore di Medicina 33 su Raidue).
R. «Bel colpo di Mediaset, lui è il numero uno nella divulgazione medica da sempre. Quelli bravi non si rottamano, hanno moltissimo da dare e da dire».
D. E la vita privata?
R. «Al di là dell’ictus che mi ha colpito nel 2011 e ora mi impedisce di correre e di andare in moto, sono stato molto fortunato e non solo perché sono ancora vivo».
D. L’ictus, esperienza dura...
R. «Sì, ma anche formativa. Ora capisco meglio i problemi degli altri e ho smesso di pensare di essere Superman».
D. La famiglia?
R. «Karen, mia moglie, è intelligente e brillante, fa un sacco di cose tutte bene, anche la giornalista, e ama collezionare lauree. Da grande si occuperà a tempo pieno di psicologia e psichiatria. Poi ho un figlio, Simone, al quinto anno di Medicina, e un altro, Claudio, che fa composizione e pianoforte all’Accademia di Santa Cecilia. Insomma, in famiglia l’unico non laureato sono io».
D. Neanche ad honorem?
R. «Quando mi è stata offerta una laurea ad honorem ho ringraziato e declinato. Quel pezzo di carta si guadagna studiando, io non ho potuto, ma il titolo lo avranno i miei figli».
D. Da grande che cosa farà?
R. «Sto scrivendo un libro, il secondo (dopo Ho visto cose... del 2012, ndr), su incontri molto interessanti avuti in questi anni. Scrivo e faccio tv, lo faccio e lo farò. La parola “pensione” mi mette tristezza. Non ho la vocazione di stare a guardare. Sono un animale da soma: il lavoro è la mia passione, il mio hobby è il giornalismo».