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 2014  novembre 19 Mercoledì calendario

DRAGHI NON PUÒ RIPETERE ALL’INFINITO CHE PUÒ RICORRERE A MISURE SPECIALI. PASSI ALL’AZIONE

È singolare che alcuni commentatori e alcune teste d’uovo considerino il ripetersi, per oltre cinque mesi, del monito di Mario Draghi sul ricorso a nuove operazioni non convenzionali, da parte della Bce, come fruttuosamente rivolto a eventuali speculatori contro l’Italia o la Spagna, perché la Banca potrebbe decidere di intervenire nell’acquisto di titoli pubblici tagliando loro le unghie, e non considerino che anche gli operatori conoscono, come gli stessi opinionisti (e meglio di loro) le ragioni che gli stessi commentatori adducono per giustificare il non ancora avvenuto passaggio all’azione. Si tratta del disaccordo di Germania e Bundesbank e delle correlazioni che avrebbe una decisione sul Quantitative easing con la nota vertenza davanti alla Corte europea e alla Corte costituzionale tedesca sull’acquisto di titoli condizionato e illimitato da parte dell’Istituto monetario. Non si considera, altresì, che la mera ripetizione di un ammonimento ha un effetto logorante, usurante, di inflazione non economica ma di parole, soprattutto perché si è scelta la strada del forward guidance, escludendo la possibilità di sorprendere mercati e operatori. Strumento che pure le tradizioni, per esempio, della politica monetaria della Banca d’Italia non hanno mai mancato di considerare, e con successo quando vi è stato fatto ricorso, tra gli strumenti utilizzabili. Poi, bisogna essere chiari: la Germania si oppone all’acquisto di titoli pubblici, anche se essi siano condizionati? Allora delle due l’una: o la Bce è diventata qualcosa di diverso dall’istituzione autonoma e indipendente che vuole il Trattato Ue, e quindi ha bisogno per poter agire del consenso dei Paesi che fanno parte dell’Eurozona e, innanzitutto, di quello che è il più forte in un dato momento, e allora siamo nei fatti a un mutamento istituzionale profondo che dovrebbe allarmare. In più, questa volta sarebbe la Germania a opporsi, ma la prossima ben potrebbero essere, per altre materie, altri Stati, per esempio la Francia, l’Italia, sicché la Bce finirebbe con il cambiare radicalmente i propri connotati. Ma poi Draghi non ha detto che il Consiglio direttivo è stato unanime nell’approvare l’ipotesi di nuove misure straordinarie? Dov’è, quindi, il contrasto? Oppure le opposizioni a questa o quella operazione esistono, ma si accetta, come vogliono le regole del gioco, che sia la maggioranza del Consiglio direttivo a decidere vincolando anche i dissenzienti e allora la reiterazione dei moniti sarebbe un chiaro rinvio privo di grandi giustificazioni, a eccezione di quella di non voler affrontare a viso aperto e anche a rischio di essere soccombente la discussione nel Consiglio direttivo.
Anche di queste scelte audaci, queste sì, è fatto l’impegno di chi governa una grande istituzione, il quale non può continuare a somministrare un monito che poi non si traduce mai in un intervento concreto e rischia di apparire come una pistola ad acqua. Né, per lenire le difficoltà nell’utilizzo della leva monetaria, si può continuare a dire che essa è inefficace, svilendo così un’arma che potrebbe essere anche risolutiva; certamente lo è contro la deflazione. Dopo le manifestazioni del primo shock petrolifero degli anni 70, Guido Carli avvertì che la politica monetaria era stata molto restrittiva e governò un allentamento con successo. Altri tempi? Senz’altro. Ma resta l’insegnamento se non altro per il metodo. Di questo passo, invece, si rischia non solo di non passare all’arma letale dell’acquisto dei titoli pubblici, ma di far prevalere l’idea dell’inefficacia della politica monetaria, mentre altrove, a cominciare dagli Usa e dalla Gran Bretagna, essa ha sortito risultati assai importanti contro la crisi. E non si obietti che la Fed può utilizzare strumenti che alla Bce sono impediti, perché l’esito positivo dell’azione della banca federale americana è dovuto al Quantitative easing e alla manovra dei tassi ufficiali, nella disponibilità, la seconda senz’altro, della Bce, mentre il primo sarebbe pur sempre attivabile perché pienamente coerente con il mandato sul mantenimento della stabilità dei prezzi. Altro allora che richiedere una maggiore condivisione di sovranità all’interno dell’Unione: se i rapporti di forza tra Paesi sono quelli che si osservano, ciò significherebbe cessione di sovranità, non messa in comune. Insomma, è l’ora di una decisione, che certamente non viene aiutata dal presentare come innovative nei mezzi di comunicazione di massa dichiarazioni di Draghi che si stanno da tempo ripetendo, come si detto. La materializzazione del rischio deflazione è alle porte nella zona-euro e nell’Ue. In Italia si è già concretizzato. Non giova ripetere che Annibale è ante portas e poi non fare nulla per impedirgli di entrare. Anche per un salvatore dell’euro viene un momento assai difficile in cui la Bce è chiamata a dare prova di credibilità e, prima ancora, di ottemperanza al vincolo del mandato. Speriamo che, nel prossimo discorso, Draghi non ripeta la litania della Bce pronta a operazioni straordinarie «se necessario» e invece dia l’annuncio di un concreto intervento.
Angelo de Mattia, MilanoFinanza 19/11/2014