Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 19/11/2014, 19 novembre 2014
LA CRAXI: NON MI INSULTANO PIÙ
[Intervista a Stefania Craxi] –
Giro l’Italia da 14 anni e per 13 e mezzo ho preso gli insulti. Da un po’ non accade più: segno che la verità si fa strada e gli Italiani cominciano a fare paragoni e capiscono»: Stefania Craxi, milanese, classe 1960, oggi presiede la Fondazione dedicata al padre, Bettino.
L’ha messa in piedi nel 2000, lasciando l’attività di produttrice tv, appena l’ex-premier morì nell’esilio di Hammamet. «Craxi diceva che finché fosse stato in vita, si sarebbe difeso da solo. Ma dopo ci doveva pensare qualcun altro», spiega. Già deputato Pdl, Stefania Craxi è stata sottosegretario agli Esteri nell’ultimo governo di Silvio Berlusconi.
Domanda. Partiamo da questo governo, in calo nei consensi, secondo quanto riportato domenica dall’Istituto Demos.
Risposta. Mi fa partire da un’altra cosa?
D. Prego...
R. Di fronte a una crisi di queste proporzioni, che dura da tutti questi anni, servirebbe bene altro senso di responsabilità, profondità di visione e serietà.
D. E invece?
R. Invece vedo superficialità, pressappochismo e una classe dirigente inadeguata. Anzi, me lo lasci dire, degli scappati di casa.
D. L’ha detto...
R. Di fronte a macro-problemi come la crescita e lo sviluppo, un enorme debito pubblico e un’elevatissima pressione fiscale, anziché mettere in campo un disegno di grandi riforme economiche ed istituzionali, che consentano di rilanciare l’economia, di abbattere il 30% la pressione fiscale ed il costo del lavoro e di cambiare la forma di governo in senso presidenziale, questa classe dirigente cincischia in riformicchie annunciate e mai realizzate.
D. Il presidenzialismo, lei dice. Perché le riforme in pista non sono sufficienti?
R. La forma di governo è il problema dei problemi, Craxi nel parlava già nel 1978 con la grande riforma.
D. Ma scusi, Berlusconi, che le appoggia, le riforme di Renzi, fa bene o fa male?
R. Fa bene a tenere aperto il dialogo sulle riforme istituzionali ma Renzi, non consente un vero dibattito pubblico e parlamentare nel merito e nella sostanza. Non si possono consentire riforme spot che non solo non taglieranno affatto i costi dello Stato ma avranno come unico effetto quello di eliminare la sovranità popolare, come già abbiamo visto con la riforma delle Province. Bisogna invocare a gran voce il presidenzialismo e il superamento autentico del bicameralismo. Serve una riforma che sappia coniugare governabilità e rappresentanza.
D. Ma la fine del bicameralismo perfetto viene rivendicata da Renzi con questa riforma del senato, che è arrivata al suo primo passaggio con l’approvazione dei primi d’agosto proprio a Palazzo Madama...
R. Renzi imbroglia: quello che ne uscirà sarà un Senato le cui competenze sono più larghe di quello che si vuol dare a intendere, in mano alle segreterie dei partiti, e formato da un personale politico proveniente da quelle Regioni, le stesse che poi demonizza, che sono una delle cause, grazie alla riforma del Titolo V del centrosinistra, di una spesa fuori controllo.
D. Cosa non le piace poi di Renzi che, come sa, molti accostano a suo padre?
R. Non parla al Paese reale. Tutto è retorica. Non vi è sostanza. La sua è una narrazione che è piena di globalizzazione, di start-up, di merito ma non si capisce come intende premiarlo. E quelli, anche giovani, che non ce la fanno? Noi parlavamo di merito ma anche di soccorrere i bisogni. Qui si gioca a escludere e si butta fumo negli occhi della povera gente.
D. Gli 80 euro, grande forma di redistribuzione, non le paiono abbastanza di sinistra?
R. Il Paese non cresce, di fatto, da un ventennio. Non si redistribuisce ricchezza prima di averla prodotta, così s’impoverisce il Paese e non si sostiene la ripresa. E poi quella spesa in deficit va ad un fascia in parte garantita quelli che hanno già un reddito.
D. Senta, ma Bettino Craxi il Jobs Act lo avrebbe fatto?
R. Craxi era un leader riformista avrebbe fatto una riforma vera, concreta, non degli spot come è allo stato il Job Act di cui ancora non sappiano contenuti e direzione. Dopo gli incontri con Renzi sono tutti contenti, da Cesare Damiano a Maurizio Sacconi. Qualcosa non quadra!
D. Perché?
R. Le riforme di Renzi creano un paese che non ha in sé un minimo di equità, un paese a due velocità, e ce n’è una parte che è solo nella sua testa, che non esiste nella realtà. In quell’altra, quella reale, ci sono per esempio gli anziani, le donne, e la stragrande maggioranza del Paese, a cui non offriamo alcuna opportunità. Non sono abbastanza moderni per occuparsene? E mi faccia dire un’altra cosa.
D. Dica pure...
R. Una volta, nella cosiddetta e tanto vituperata prima repubblica, i governi erano maggioranza nel parlamento e nel Paese.
D. Oggi, invece?
R. Oggi si ragiona di leggi elettorali in cui gli esecutivi possano essere minoranza (con maggioranza raggiunta coi premi, ndr) ma non ci si può non porre il problema della rappresentanza? I nodi vengono al pettine. Beppe Grillo, scusi, che cos’è? La mala-rappresentanza, gli esclusi dal sistema, è roba che scalcia, sono temi veri, che non possono essere trattati solo con slogan e fuochi di artificio. Sento solo arroganza in giro. E l’arroganza finisce per provocare reazioni.
D. A cosa si riferisce?
R. Al fatto che non si possono prendere a calci ed umiliare i corpi sociali, si deve loro rispetto pur se non si condividono le posizioni. Io non condivido le posizioni della Cgil ma non si può trattare il sindacato in quel modo, convocarli ad un tavolo senza che nessun partecipante del governo abbia mandato per trattare. Non è decisionismo quello, è offensivo e profondamente antidemocratico.
D. Beh, però suo padre nel 1984, sulla scala mobile vinse con una prova di forza.
R. Mio padre lo ha fatto, ma dopo aver parlato 1.800 ore con le parti sociali e, alla fine, non si scontrò con la Cgil, perché, come poi si seppe, Luciano Lama era addirittura favorevole al superamento della contingenza, ma la battaglia vera fu ideologica e politica col Pci, la grande forza di conservazione di quegli anni che determinava la posizione di quel sindacato. E faccio un altro appunto a Renzi: si può governare un paese senza una cultura di riferimento?
D. Lei pensa che non ne abbia?
R. Non ne vedo. Non vedo neanche delle convinzioni profonde. Non vedo visioni. Vedo solo una fretta inutile e pericolosa. Non vi è profondità, solo una bidimensionalità data dal proprio io e dalla comunicazione. E come diceva mia nonna: «La gatta frettolosa fece i gattini ciechi». La citi, mia nonna, mi raccomando.
D. Nonna materna o paterna?
R. Nonna Maria. Maria Ferrari, la madre di mio padre, grande figura, che amava citare sempre i proverbi della tradizione milanese.
D. Senta, però io torno alla carica: spesso si è accostato Renzi e a suo padre. Secondo lei perché?
R. Guardi Craxi fu uno dei grandi padri del riformismo in Italia. Renzi è un riformista dei miei stivali.
D. Addirittura...
R. Massì. È uno che, quando gli han chiesto chi avesse scelto fra Craxi ed Enrico Berlinguer, ha scelto quest’ultimo.
D. Forse, per rispetto a una certa tradizione del suo partito...
R. Ma Berlinguer, che fu un grande personaggio, era un conservatore: era contro la tv a colori, contro le nuove autostrade, contro l’aborto. E Craxi non avrebbe mai fatto una sola scelta che fosse dettata da solo opportunismo, altrimenti non avrebbe mai potuto fare Sigonella (quando ordinò di bloccare i corpi speciali Usa che avevano fatto scalo nella base aerea siciliana, dopo aver sequestrato il terrorista palestinese Abu Abbas, responsabile del dirottamento dell’Achille Lauro, ndr).
D. Cosa non va nella politica italiana odierna? Lei, all’inizio, ha parlato di un problema di classe dirigente, non si tratta quindi del solo governo o del solo Pd.
R. Il problema è la formazione della classe politica. Una volta c’erano i partiti, oggi esistono dei suoi succedanei di scarsa rilevanza. Come si forma oggi la dirigenza di un partito? Vogliamo abbandonarci al sogno della società civile come grande fucina? Mi sembra non abbia funzionato. Negli anni ’80, la media dei parlamentari del Psi aveva poco più di 40 anni, Maurizio Sacconi, per esempio ne aveva 28 quando arrivò in Parlamento. Ma tutti ne avevano almeno 15 anni di gavetta nei partiti.
D. Per questa insufficienza di classe politica, non ci sono in giro grandi alternative a Renzi. Oppure questo governo cadrà sotto i colpi della crisi?
R. A febbraio, quando vedremo la Trimestrale di cassa, e il nostro pil scendere ancora mentre quello dei Pigs sarà in lieve recupero, beh, allora ci renderemo conto. Basta vedere le stime di crescita della Grecia.
D. La politica estera, in cui lei si è misurata con responsabilità di governo, era per Craxi premier importantissima.
R. Certo, la vedeva come mezzo indispensabile per far valere il grande sacrificio di tanti Italiani che avevano fatto di questo Paese la quinta potenza economica mondiale. E poi guardava al Mediterraneo come sbocco di sviluppo e di pace. Quel Mediterraneo che oggi è in fiamme ed il cui l’Italia non gioca più alcun ruolo.
D. Ecco una delle battaglie vinte da Renzi è stata quella di imporre la titolare della Farnesina, Federica Mogherini, al ruolo di Lady Pesc. Che cose le pare?
R. Posso non rispondere?
D. Va bene. Ma almeno mi dica come giudica i socialisti che stanno al governo con Renzi. Uno, Sacconi, l’abbiamo citato poco fa...
R. Sacconi è uno bravo, competente. Il resto, ben pochi, sono socialisti della sottomissione, proni ai comunisti. Anzi, ex-socialisti direi, perché, neanche di fronte agli insulti, difendono la propria storia sol per conservare un misero posto. Mosche cocchiere, avrebbe detto Craxi.
D. Renzi comunista, mi pare un po’ esagerato però...
R. Ha ragione (ride). Diciamo sottomessi a Renzi.
D. E gli altri? E Riccardo Nencini, viceministro delle Infrastrutture?
R. Lasciamo perdere: uno che si è fatto venire l’idea di prendere i soldi delle bollette energetiche per coprire il deficit.
D. Beh, un tesoretto da una dozzina di miliardi, se ho capito bene...
R. Ma pensassero a come ridurre la pressione fiscale che, per le aziende, ha raggiunto il 68% sulle imprese.
D. La famiglia socialista si riunirà ancora?
R. Non è questo il tema. Il tema è come tenere viva e dare ruolo e funzione al riformismo socialista e capire le nuove forme intorno cui organizzarsi Girando ogni settimana per l’Italia, incontro molti giovani, e la cosa mi fa sperare. La cultura socialista è stata una civiltà che ha lasciato dei figli.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 19/11/2014