varie, 17 novembre 2014
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 17 NOVEMBRE 2014
Quest’anno il 6 per cento degli studenti che si è iscritto alle scuole superiori ha scelto il liceo classico. Vent’anni fa era il 12 per cento. La domanda da porsi è la seguente: era troppo alta allora o è troppo bassa oggi? [1].
«Ragazzi e famiglie oggi vogliono il liceo, ma senza latino. Meno che mai il greco. Sono ritenute materie inutili, e per giunta difficili e faticose. Non servono, e tolgono la spensieratezza ai nostri poveri pargoli... Ci viene chiesto invece solo di intrattenere serenamente i ragazzi e, semmai, di prepararli al lavoro» (Paola Mastrocola, scrittrice e insegnante al liceo) [2].
Ragazzi che si sono iscritti al primo anno delle superiori per il 2014/2015: 537.242. Di questi il 49,8 per cento ha scelto un liceo: al primo posto lo scientifico (15,6 per cento, +2,7 rispetto all’anno precedente), secondo il linguistico (8,8 per cento, +0,5), terzo il classico (6 per cento, -1) [3].
Il liceo classico è assolto, perché «il fatto non sussiste». Ma dovrebbe essere riformato al più presto. Così ha deciso venerdì scorso, al Teatro Carignano di Torino, la corte riunita per il processo-spettacolo organizzato dalla Fondazione per la Scuola della Compagnia di San Paolo, dal Miur e dal Mulino. Un processo guidato da un giudice vero, Armando Spataro, procuratore capo a Torino. L’economista Andrea Ichino e il semiologo Umberto Eco sostenevano l’accusa e la difesa [4].
Andrea Ichino: «Ma se il liceo classico è così fondamentale, mi sapete spiegare come mai nessuno lo riproduce in altri paesi? O perché anche nazioni come la Francia e la Germania lo hanno abolito e oggi riescono a reagire alla crisi meglio di noi? E perché a un ragazzo di 14 anni non lasciamo la possibilità di scegliere un po’ alla volta quali corsi frequentare? Vi suggerisco di guardare alla Boston Latin School» [4].
Al centro del dibattimento al Teatro Carignano tre le accuse del pm Ichino: il liceo classico è ingannevole, non prepara gli studenti anche per le materie scientifiche; è inefficiente, non aiuta ad affrontare problemi e opportunità del mondo moderno; è iniquo, ha contribuito a ridurre la mobilità sociale a favore di chi nasce in famiglie avvantaggiate. Dietro una domanda : è ancora la scuola migliore per formare le prossime teste del paese? [5].
È un dato che in Italia il 70 per cento degli adulti è incapace di analizzare informazioni matematiche, contro il 52 per cento medio degli altri Paesi europei. Ichino: «Occorre ripensare un equilibrio. Dobbiamo scegliere: studiare i mitocondri, dove si ritiene ci sia l’origine della vita di tutto il pianeta, o l’aoristo passivo e le origini della nostra cultura?» [6].
La replica di Eco: «Ripensare un equilibrio vuol dire insegnare meglio il latino, dialogando in latino elementare, introdurre per tutti i cinque anni almeno una lingua straniera, e perfino la storia dell’arte. Anche il greco si può cambiare, aumentando le traduzioni del greco della koiné. Propongo l’abolizione del liceo scientifico e la nascita di un’unica scuola, umanistica e scientifica» [4].
Stefano Marmi, matematico e professore alla Normale di Pisa: «Il classico non prepara a capire il mondo attorno. Abbiamo generato in Italia una società in cui si dice: “Io non mi vergogno a dire che non so nulla del teorema di Pitagora”, anche nei salotti determinanti per il futuro dell’economia. Oggi viviamo in un mondo dominato dalla matematica tramite il suo braccio armato, che è il computer» [5].
«Mi sono iscritto a Filosofia perché al classico ho avuto un meraviglioso professore di filosofia che sapeva insegnare. Questo è il problema delle nostre scuole, manca la pedagogia dell’insegnamento. Le università non preparano buoni insegnanti» (Umberto Eco) [7].
Un articolo di Giovanni Belardelli sul Corriere della Sera del 30 giugno scorso raccontava questa storia: un papà e una mamma, indignati del fatto che il loro figlio, studente del classico, fosse stato bocciato perché aveva riportato 3 in matematica, 4 in fisica e 3 in storia dell’arte, invece di prendere l’erede a sberle, come avrebbero fatto i genitori reazionari di una volta, si sono rivolti al Tar del Lazio. E il Tar ha annullato la bocciatura. Eco: «Ora, è possibile che tre insufficienze, seppur gravi, siano poco per una bocciatura, ma queste cose dovrebbe deciderle un consiglio di professori o qualche organo didattico superiore. Ricorrendo all’incompetentissimo Tar si incoraggiano quei genitori che, quando i figli prendono brutti voti, invece di prendersela con loro, vanno a protestare con gli insegnanti. Buzzurri, educheranno dei figli altrettanto buzzurri» [8].
Quest’anno il ragazzo che ha superato i test per iscriversi alla facoltà di Medicina con i voti più alti è stato Augusto Egidio Ripa, di San Pancrazio Salentino, paese di diecimila abitanti nel Brindisino, diplomato al liceo classico “De Sanctis-Galilei” di Manduria. Ha preso 80,5 punti su 90 al quiz, molto al di sopra del secondo classificato [9].
Giorgio Israel: « La sciagurata diatriba tra “scienze esatte” e cultura umanistica danneggia entrambe. Nella furia di distinguerle, le scienze vengono separate dalla cultura e pensate come mere abilità pratiche, predicando che solo ciò che ha un’utilità diretta vale qualcosa. Non a caso stiamo perdendo il senso della parola “ricerca”, ormai sinonimo di “innovazione tecnologica”» [10].
Uno dei temi in discussione è quanto sia utile lo studio di una lingua morta come il greco. Paola Mastrocola: «I ragazzi chiedono continuamente “A cosa serve?”. Mentre la scuola dovrebbe essere un momento unico e privilegiato in cui nulla è valutato in termini di utilità e di ritorno. È la scuola voluta dall’Europa, lo so. Ma è una scuola che a poco a poco insegnerà solo a passare i test, non a pensare, a studiare lasciando che le parole, le idee, entrino in noi e ci facciano diventare persone migliori. Bisognerebbe reagire, farla noi insegnanti, una bella rivoluzione» [11].
«È la modernità, dicono in molti: con quello che è successo nel mondo, passare cinque anni a declinare lingue morte non è più immaginabile. Nemmeno per i figli di medici, avvocati, politici e imprenditori che nel ginnasio hanno sempre visto una conferma dello status di famiglia. Da Silvio Berlusconi a Massimo D’Alema, da Giorgio Napolitano a Matteo Renzi, da Matteo Salvini a Mario Draghi: tutti vantano nel curriculum la maturità classica» (Francesca Sironi) [11].
Per Alessandro Cavalli, sociologo e professore all’Università di Pavia, «è appunto questa funzione di riproduzione sociale della classe dirigente che ha incominciato a scricchiolare. Il liceo classico si sta trasformando, anzi si è già largamente trasformato, in una scuola pre-professionale per chi in seguito vorrà indirizzarsi verso l’insegnamento delle materie umanistiche o per chi troverà una collocazione tra i quadri dell’industria culturale. Se però si vogliono scuole che diano una solida preparazione per affrontare gli studi superiori e nello stesso tempo promuovano la mobilità sociale, non basta piangere sul declino del liceo classico. Bisogna lavorare sulla qualità, a partire dai professionali, per arrivare, certo, anche ai licei classici» [1].
«Certamente è una sfida. Chi ha paura del classico è meglio prenda altre strade, perché la vita è crudele e – anche se non è politicamente corretto dirlo – appartenere alle élites è rischioso e faticoso. Si può avere una vita felice e soddisfazioni anche estetiche studiando ebanisteria, e guai se non ci fosse chi lo fa» (Umberto Eco) [8].
Note: [1] Alessandro Cavalli, Il Mulino n. 5/2013; [2] Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 13/9; [3] Focus Iscrizioni 2014/2015, Ufficio statistico Miur; [4] Vera Schiavazzi, la Repubblica 15/11; [5] Andrea Giambartolomei, il Fatto Quotidiano 15/11; [6] Mario Baudino, La Stampa 15/11; [7] Letizia Tortello, stampa.it 15/11; [8] Umberto Eco, l’Espresso 11/7; [9] Stefano Parola, la Repubblica 13/5; [10] Giorgio Israel, Il Messaggero 25/8/2013; [11] Francesca Sironi, l’Espresso 23/8/2013.