Massimo Rebotti, Corriere della Sera 19/11/2014, 19 novembre 2014
TAVERNA
«E il Movimento cinquestelle cos’è, la Caritas?». La battuta di un abitante di Tor Sapienza alla senatrice del M5S Paola Taverna, che negava di essere andata lì «come politico», è fulminante. In pochi istanti di battibecco — da un lato un gruppo di abitanti della periferia romana da giorni al centro dell’attenzione, dall’altro la parlamentare cinquestelle — si è squadernato un mondo su cos’è (e non dovrebbe essere) la politica. La posizione degli abitanti è chiara: «Non vogliamo politici qui» dicono «nessun accattonaggio di voti». L’esponente del M5S prima cerca di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda — «non sono un politico, non chiamatemi senatrice» — per poi concludere che a lei della politica non importa nulla (Taverna lo dice in altro modo). La strategia del «sono una di voi» stavolta non paga: secondo chi fronteggia la senatrice, i Cinquestelle sono uguali agli altri partiti «e se ne devono andare». Per un movimento che ha basato sulla distinzione tra «noi» e gli altri («i morti, gli zombie») il cuore del proprio successo, è una specie di nemesi. E quello di Tor Sapienza non è il primo segnale: quando Beppe Grillo si presentò tra gli alluvionati a Genova fu invitato a «spalare» invece di «fare passerella». La contestazione a un politico fa da sempre parte del gioco. Se condotta in termini civili, può anche essere utile. Il guaio sono i politici che negano di essere tali o che, di fronte a un dissenso, dicono di disprezzare la politica, come ha fatto Taverna a Tor Sapienza. Si potrebbe dire che il M5S raccoglie ora la tempesta del «siete tutti uguali» che ha a lungo seminato (aiutato, certo, dalle prove spesso pessime fornite dagli altri partiti). Ma i Cinquestelle sono politici — la stessa Taverna si definisce così sulla sua pagina Facebook — e fanno politica. Fingere che non sia vero per risultare più popolari, si è visto a Tor Sapienza, non sempre conviene.