Tommaso Rodano, il Fatto Quotidiano 19/11/2014, 19 novembre 2014
I DANNATI DI FOOTBALL MANAGER
Causa divorzi, distrugge amicizie, rovina carriere . Non osate definirlo “solo un gioco”. Football Manager è la più realistica simulazione di calcio manageriale mai realizzata. Dall’inizio della saga, nel 1990, ha collezionato decine di milioni di copie vendute e un numero infinito di copie scaricate illegalmente. L’ultima versione, rilasciata a inizio mese, è già in testa alle classifiche italiane per pc. Non ha giocatori, ma adoratori. Una comunità di allenatori virtuali. Matteo Orfini, presidente del Pd, ha fatto outing: “Ho portato l’Avellino in Europa League – ha twittato – però ora qualcuno mi tolga championship manager dal cellulare” (Championship manager è il cugino “povero” di football manager, ndr).
Il segreto non sono le immagini. Niente hd e giocatori “uguali a quelli veri”. Fm ha un’interfaccia schematica e una grafica scarna, irrilevante ai fini del gioco. Non vi trasforma in calciatori, ma in tecnici. Siete gli unici responsabili del successo del club: dovete gestire tutto, dal calciomercato agli schemi, dal fair play finanziario alle conferenze stampa fino ai contratti. Potete essere aggressivi come Mourinho o lacrimosi come Mazzarri: ogni scelta influenza i risultati. Potete fare tutto, tranne giocare la partita: vi sedete in panchina, impotenti. Tocca ai vostri giocatori.
Il realismo esasperato rende l’esperienza totalizzante, ossessiva. Può diventare una dipendenza. Esagerazione? Un’ampia letteratura dimostra il contrario. An Alternative Reality, “una realtà alternativa”, è un lungometraggio appena proiettato nelle sale inglesi, 90 minuti di racconti su Fm e sull’impatto che ha avuto nelle vite dei suoi adepti. In un altro cortometraggio – How Football Manager ruined my life (“Come Football Manager ha rovinato la mia vita”) – l’intervistatore chiede a un giovane catatonico quante ore alla settimana vi si dedichi. Il piccolo zombie risponde: “Quante ore ci sono in una settima?”.
Iain Macintosh, giornalista sportivo del Mirror, ha firmato un libro che guida (con ironia) nei meandri della dipendenza da Fm: How Fm stole my life (“Così Fm ha rubato la mia vita”). Un aneddoto vale l’intera lettura: nel Regno Unito Fmè stato citato in 35 cause di divorzio come uno causa di separazione. Ci sono testimonianze incredibili: chi si veste in giacca e cravatta prima delle finali di Coppa della squadra che allena, chi si frattura le dita di mani e piedi per sfogare la rabbia dopo un rigore sbagliato al 90°, chi ha convinto la moglie ad andare in luna di miele in Bulgaria per visitare segretamente lo stadio del “suo” club.
La dipendenza contagia anche calciatori e star dello spettacolo. Quando il tecnico Harry Redknapp ha visto sfumare il suo sogno di allenare la Nazionale inglese, è stato consolato pubblicamente dall’ex campione dell’Arsenal, Paul Merson: “Harry, so come ti senti. È successo anche a me, a Football Manager”. La popstar Robbie Williams ha raccontato il suo rapporto col gioco: “Dopo 24 ore consecutive ho tagliato in due il disco. Era troppo. L’ho ricomprato su Amazon due giorni dopo”. Paolo Nutini, rockstar scozzese: “Durante il soundcheck del mio concerto non riuscivo a pensare ad altro che alla mia carriera col Nottingham Forrest”.
Uno dei segreti è il database mostruoso: copre praticamente l’intero scibile calcistico mondiale. Nel 2008 l’Everton è stata la prima società professionistica a siglare un accordo con la Sports Interactive la casa che produce Fm) per sfruttare in anteprima il suo lavoro di scouting. Oggi Fm si avvale del lavoro di oltre mille assistenti in tutto il mondo, coordinati da 51 responsabili. Scoprono i fuoriclasse del futuro prima dei club più ricchi del calcio europeo.
Chi gioca davvero sa che può trovarsi, senza nemmeno rendersene conto, a improvvisare una conferenza stampa in inglese in vista di una partita con lo Scuntorphe United mentre si fa la doccia. Separare una carriera da allenatore di successo da un vero lavoro precario può diventare uno sforzo tremendo. “Quando penso a tutto quello che avrei potuto raggiungere nella mia vita – scrive Macintosh – mi si spezza davvero il cuore. In tutto, mettendo in fila le ore, ho buttato sei mesi della mia vita per un gioco del computer. Ma lo sa come mi sento quando gioco? Mi sento come un Dio”. Non chiamatelo “solo un gioco”. E andateci piano.